Sfiorata tragedia

Quegli storditi di mamma e papà avevano perso il mio coniglietto.

Ci dormo assieme da quando sono nato. E’ tutto intriso delle mie puzzette, delle mie sbave, dei miei baci appiccicosi.

Lo adoro.

Quando sono stanco oppure solo un po’ scoglionato, le parole magiche sono due, molto simili tra loro: “etto” (ciuccetto) e “lietto” (coniglietto). E magicamente il mondo mi sorride.

In quella tragica serata il coniglietto non si trovava più. I due storditi di cui sopra l’hanno cercato ovunque. Sotto il materasso, tra le coperte, nel letto della Bubi. Hanno scandagliato il piano di sopra. E il piano di sotto.

Niente.

Una notte me la sono fatta passare.

Dovete sapere che son diventato proprio bravo ultimamente. Se mi sveglio di notte, basta che ritrovo “etto” e “lietto” e mi riaddormento da solo, senza rompere i maroni alla Bubi o ai due storditi di cui sopra.

Quindi non trovare “lietto” nel lettino quella notte non mi ha fatto piacere. Proprio no. Ma è andata. Mi son svegliato solo tre volte. Piuttosto turbato a dire il vero.

Una notte l’ho fatta passare. La sera dopo però non ci ho visto più.

Volevano che facessi a meno di “lietto” un’altra volta. Eh, no, eh? Siete fuori?!?

Pensate che la mamma voleva ingannarmi con il coniglietto della Bubi, che è completamente diverso (n.d.a. è lo stesso coniglio, solo rosa anziché azzurro, l’unica differenza percepibile è che è molto meno consumato, visto che la Bubi non se lo fila nemmeno).

Io allora ho fatto appello al mio intero vocabolario da diciottomesenne e ho detto chiaro e tondo: “IO NO VOIO QUETTO, QUETTO E’ DI BUBI”.

Lo vedevo quel sorrisetto impietosito e deliziato sulla faccia della mamma perché avevo pronunciato la mia prima frase di senso compiuto.

Mi faceva ancora più incazzare.

Finalmente il Papais ha avuto la geniale idea di controllare nel contenitore dei Barbapapà.

Eccolo finalmente.

Che gioia.

Ho festeggiato facendomi subito una bella cagata liberatoria.

Che relax.

Finalmente.

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Notte fuori

“La Bubi non riesce a dormire con il buio completo. Lasciate accesa la luce del bagno, almeno. Ah, ricordatevi di farle fare pipì prima di andare a letto, che certe volte si dimentica.”

“Giulia, andiamo”

“Il Bubino beve il biberon tiepido, mi raccomando t-i-e-p-i-d-o, non bollente.”

“Giulia, è tardi”

“Anche la Bubi vuole un po’ di latte, basta poco, mezza tazza. Sempre tiepido, eh?”

“Giulia…”
“E mandatemi uno squillo, un sms, un segnale di fumo quando si addormentano”

“Giulia!!”

“Tengo il telefono sempre acceso, eh? E ho messo anche la Tachipirina nella borsa, non si sa mai. Vi ho scritto il dosaggio, eh? E’ scritto qui: Bubi 8 millilitri, Bubino 6.”

“Basta, Giulia, dobbiamo andare adesso”

“Aspetta che gli do almeno un bacino”

“ANDIAMO”

Strattonata dal Papais. Infilata a forza nell’ascensore. Con la tipica morsa allo stomaco indice di senso di colpa latente. Mamma Giulia ha cominciato a sentirsi bene solo dopo un doppio spritz.

Decisamente bene.

Aria fresca e leggera. Ultimo sole della sera.

Scenario da piazza nordeuropea. Pedonale. Culturale. Giovane.

Il ghiaccio che si scioglie lento nel bicchiere.

Noi. Senza fretta alcuna.

Nessuno che svariona perché non ha mangiato entro le 19,00. Nessuno che se ne scappa per tutta la piazza. Nessuno che mi macchia i vestiti baciandomi con la bocca di gelato. Nessuno che mi si attacca alle gonne denudandomi vergognosamente davanti al mondo intero.

Solo noi due. E la nostra cena a lume di candela. E il nostro concerto del nostro Capossela.

Mentre sfumano le ultime tracce di alcool, Mamma Giulia viene riposseduta dall’apprensiva che alberga in lei. Ricomincia a guardare incessantemente il cellulare. Una, cinque, dieci volte.

Finché arriva il messaggio: “Bubino 21,30. Bubi mezzanotte meno dieci”.

Assillata da immagini tragiche. Con la Bubi piangente che reclama il “braccino” della mamma. Con Nonnoprof e Nonna Santa esausti ed impotenti. Riflettendo seriamente sull’estrema soluzione, ossia raggiungere nottetempo la casa natia per salvare figlia e nonni dall’infausta nottata. Mamma Giulia crolla all’una e mezza in un sonno agitato, popolato di strani esseri tentacolari e cornuti (sarà stato Vinicio? Sarà stata l’ansia?).

Ore 7,00. Telefonata di Nonna Santa.

“Tutto benissimo. Hanno dormito tutta la notte. Il Bubino tranquillo nel suo lettino. La Bubi, gasatissima, è stata per ore a chiacchierare con il nonno. Ma alla fine è crollata anche lei. Serena e contenta”.

Serena? Contenta?

Già.

Ce la fanno senza di me.

Loro sì.

Meno male

La tua adorabilità è indiscutibile.

Ridi digrignando quei quattro denti, due sotto e due sopra. Come un castorino.

Li usi quei dentini. Accidenti se li usi. Trituri qualsiasi genere di oggetto commestibile e non. E qualche volta anche la ciccia della mamma.

Se ti chiedo dov’è Bubino, indichi lo specchio con un gridolino di soddisfazione.

Adori distruggere le torri di cubetti. Non riesco ad arrivare neanche al terzo cubo che li hai già seminati per terra. E ti batti pure le mani da solo per complimentarti.

Stai imparando a dare baci. Avvicini la bocca alla mia guancia e mi salivi sopra. Mai a comando però. Solo quando gira a te.

Per annuire dici “ci” sottolineandolo con la testa. Tutto convinto.

Appena arrivi dai nonni, vai da solo a prenderti i tuoi dvd preferiti. E poi punti il telecomando per farli partire.

Hai la pelle talmente morbida e soffice che mi ci tufferei dentro. Cambiarti il pannolino è una tentazione continua. Ti mangio di baci. Parto da quei ghiotti piedini rosa. Proseguo con le succulente coscette cicce. Continuo con il pancino rotondetto. Finisco con il collo appetitoso.

Meno male che sei un assoluto tesoro.

Meno male.

Perché se rompessi le palle di giorno come le rompi ogni notte ti avrei già dato in adozione.

Scherzo ovviamente.

Run, mommy, run

C’è che un bel giorno ti ritrovi incinta.

Trascorri 9 mesi placidamente coccolata dal mondo intero. Ritmi lenti. Vita sana. Grandi dormite. C’è la casa da finire, è vero, la cameretta da preparare, è vero. Ma c’è tutto il tempo. Faremo un po’ alla volta. Con calma.

Poi arriva lei.

Le tette che fanno male. Il tuo latte che non basta. Notti insonni. Prendi il tiralatte. Prova con il biberon. Prova con l’artificiale. E no cacchio. Vuoi insistere un poco. Bene ce l’hai fatta. Brava.

Fiuuuu. Respira. Goditi la tua creatura. Fai passeggiate. Rilassati.

No. Non puoi. C’è la bronchite. Cacchio. A cinque mesi. Aerosol. Antibiotici. E poi lo svezzamento. Bene, ce l’hai fatta. Brava.

Fiuuuuuuuu. Respira. Hai una stupenda creatura che mangia le pappe e inizia a gattonare. Ed è estate. Rilassati.

No. Non puoi. Si sveglia anche 12 volte per notte. E poi devi ritornare in ufficio. Riorganizzare le giornate. Il nido non te la prende prima dei 12 mesi. A chi la lasci. Ok, bene, c’è il nonno. Rilassati. No, perché ancora non dormi affatto. Prova “Fate la nanna”. E’ duraduraduradura. Ma funziona. Brava.

Fiuuuuuuuuuu. Respira. La tua meravigliosa figlia dorme tutta la notte. L’inserimento al nido va bene. Rilassati.

No. Perché sei incinta di nuovo. Sei felice. Ma non hai tempo per crogiolarti. La tua pancia cresce senza che tu te ne accorga. Perché stai lottando con le bronchiti della primogenita. Che è ammalata una settimana sì e tre no. Che non dorme. Che non mangia. Che si becca pure la polmonite. E perché c’è la casa ancora da finire, viviamo ancora con le lampadine sul soffitto. Dobbiamo sbrigarci.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuu. Respira. Sì, perché tua figlia è stupenda. Parla parla parla, in continuazione. E’ buffa, divertente. La mangeresti di baci. E poi c’è il corso di nuoto. Goditi un po’ il tuo pancione. Rilassati.

No. Perché il pediatra ha consigliato di non mandarla più al nido. E’ a casa con te. E la gelosia già si affaccia alla tua porta. Lei ha capito che qualcosa sta cambiando. Dorme solo abbracciata a te. Fa incubi. E poi tu cadi. Ti rompi un piede. Ultimo mese di gravidanza ingessata. In apnea.

E poi nasce lui.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuuuu. Respira. E’ un amore di bambino. Di quelli che manco a sognarli. Sei fortunata. Rilassati.

No. Ancora no. Arrivano le crisi di gelosia. I capricci inconsulti. Non sai come gestirli. Ma ce la fai. In qualche modo ce la fai. Devi svezzare lui dal tuo latte. E svezzare lei dalla mammite. E poi la scuola materna. I pianti per l’inserimento. E il piccolo che non è più piccolo. Che gattona anche di notte nel suo letto. Poi torni in ufficio. Ti sembra quasi rilassante. Respira.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu. Lavorare ti permette di riconquistare un po’ di spazio. Non sei più solo una mamma. E questo ti dà una certa ebbrezza. Ti sembra di poter fare di tutto. Ora.

Ma non è così. Non è mica finita.

Appena ti convinci di essere arrivata. Di aver fatto il giro di boa. Di poter imboccare finalmente la strada in discesa. Ecco. Ti accorgi che devi ricominciare di nuovo.

Lo so. Così è la vita. E non sono solo io a correre in continuazione. E’ che qualche volta vorrei fermarmi a respirare sul serio.

Ne ho davvero bisogno.

Bubinopatia

In giovine età soffrivo un po’ di metereopatia. Con la mammità, invece, sono diventata Bubinopatica.

Nel senso che il mio umore è indissolubilmente legato al loro. Sono serena se lo sono loro. Sono incazzosa se lo sono loro. Basta uno dei due. E quando lo stesso mood lega entrambi, gli effetti su di me si amplificano al punto da diventare letali.

E’ un periodo d’oro per la Bubi. In poche ore può passare da uno stato di euforia saltellante alla peggiore crisi isterica.

Svegliandola al mattino non so mai quale Bubi mi accoglierà.

Se sarà quella rabbiosa e aggressiva, comincerà ad urlare perché ho acceso la luce, perché non le ho messo bene la fascia tra i capelli, perché la manica si è incastrata mentre la vestivo, perché il latte è troppo freddo o troppo caldo. Mi prenderò probabilmente un fracco di legnate. Il Bubino si sveglierà di soprassalto, preso dal panico. E ci vorrà un buon quarto d’ora per calmarlo. Io arriverò in ufficio in ritardo, con umore pessimo, pronta a mangiar vivo il primo collega che mi capiterà a tiro.

Se ad accogliermi sarà la Bubi dolce e accomodante, mi prenderà il viso tra le mani e mi dirà: “Non farò mai più i caprissi, mamma. MAI PIU’”. Mi riempirà di baci e mi stringerà con le sue braccine magre. Faremo colazione in una nuvola di confidenze e di chiacchiere. Mi saluterà allegra augurandomi “Buona giornata!”. E io entrerò in ufficio, sempre in ritardo, ma leggera come una piuma, convinta che mia figlia sia la creatura più adorabile della terra e che io sia la mamma più fortunata del mondo.

Per la sera stesso discorso. Ma non è detto che la Bubi che mi ha accolto al mattino, sia la stessa che vado a prendere a scuola.

Qualche malalingua in vena maschilista potrebbe sentenziare che di donna si tratta, anche se in miniatura. Ma tu, malalingua, non pensare che il Bubino sia da meno.

Se di solito è un adorabile e sorridente patatone, nelle sue giornate storte ogni gesto minimo diventa una lotta infernale. Si divincola come una tigre per non farsi mettere il giubbotto. Mi sputa addosso la cena. Si butta per terra urlando se oso infilargli le scarpine. Balbetta monosillabi incomprensibili, arrabbiandosi di brutto se non capisco.

Forse sono stanchi. Non dormono abbastanza. La messa a letto è una lotta ogni volta e non si finisce mai prima delle 22,00.

Forse sono capricciosi e viziati. Non gli diamo abbastanza regole.

Forse vengono rapiti dagli alieni che li sostituiscono temporaneamente con dei cloni difettosi.

O forse sono io. Dovrei combattere la Bubinopatia, mostrarmi sempre allegra ed empatica, andare loro incontro dandogli io una direzione, senza farmi trasportare da loro. Il Papais è molto più bravo di me in questo. Io no. E tanto per crogiolarmi nell’autocommiserazione, aggiungo che sono proprio una pessima mamma. Stanca e stufa.

Almeno fino al prossimo cambio di umore.

 

Le mie serate

“E’ tanto che non vado a dormire con te, Papais”.

Io (tra me e me, stupita): Tanto? sono mesi e mesi e mesi che vuoi solo la mamma, che la mamma non gode di una serata per sé che sia una. Oh, di grazia, che sia finalmente arrivato sant’Edipo salvatore di tutte le madri con figlie femmine?

Papais: “Come?”

Bubi: “Sì, Papais, questa sera voglio te.”

I due hanno trascorso una piacevole serata in tête à tête, trasformati in maghi, preparando pozioni nel loro “magatoio” (termine coniato dalla Bubi per indicare la fucina dei maghi). Ora, al momento della nanna, sarebbe brutto interrompere questo idillio.

Io (gongolante, dissimulando il ghigno di soddisfazione): “Andate, andate, buonanotte tesoro”.

Appena i due spariscono dalle scale, mi fiondo a sistemare la cucina. In un quarto d’ora è a posto, roba che neanche Silvan. Mi allungo in poltrona, lentamente, gustando il momento. Telecomando alla mano. E’ da più di un anno che non so cosa danno in televisione alle nove di sera.

Cinque minuti di piacevole zapping e sento: “Maaaammaaaa!”

Eccola.

Come sempre.

“Adesso vuole te”, commenta laconico il Papais.

Lei vuole me. Tutte le sere. Ha sostituito i peluche con il mio “braccino”, rigorosamente nudo, che accarezza finché non si addormenta. Resistere al tepore di quel letto è impossibile. Finisce che crollo anch’io. Magari svegliandomi all’una di notte pensando alla lunga lista di cose-da-fare-mentre-i-Bubini-dormono.

Intendiamoci.

La Bubi in quei 20/30 minuti prima di prendere sonno è dolcissima. Si lancia nelle confidenze più intime e più divertenti. Si lascia coccolare come un gattino.

Ma essere l’unica e insostituibile fonte del suo prender sonno non è una bella cosa.

No davvero.

Letto lettino lettone

“Il lettino con le sbarrette è brutto!”

“E a chi lo diamo?”

“Al Patato. Lui è piccolo. Io sono grande.”

“E tu allora dove dormi?”

“Nel lettone”

“Ma non hai visto il letto nuovo?”

“Non lo vollio”

“Ma non ha mica le sbarrette. Guarda, puoi salire e scendere da sola”.

“Mmmm”

“Se ti svegli non serve più che mi chiami. Scendi da sola”.

“Mmmmmm”

“E poi è abbastanza grande ci sta anche la mamma”.

“Bene. Vieni qui anche tu, mami”

Grande. Con un’unica mossa ho vanificato il lavoro di un anno.

La Bubi si addormentava da sola nel suo lettino. Ora mi devo sdraiare con lei tutte le sere.

La Bubi faceva almeno 8 ore di sonno filate senza svegliarsi fino al mattino. Ora si sveglia verso le 4.00 e viene automaticamente in camera nostra. Senza neanche fiatare si infila sotto le coperte come fosse un suo diritto inalienabile.

Certe volte farei meglio a stare zitta.

Momenti di assoluto godimento

In genere durano poco. Ma la felicità di mamma Giulia viene anche da questi piccoli lussi quotidiani.

Intanto, finché sono in maternità, possiamo svegliarci con calma. E concederci il piacere assoluto di una buona mezz’ora di cocccole nel lettone prima di cominciare la giornata. La Bubi che abbraccia il Patato. Lui che la ricambia con i suoi adorabili gorgheggi. Io che li divoro entrambi di baci, gli faccio il solletico, li spatacchio.

Se qualche nonno è tanto gentile da guardare il Patato, il riposino del pomeriggio io e la Bubi lo facciamo nel lettone. Me ne frego delle regole. Dormire con il proprio bimbo è un godimento troppo grande per non concederselo mai. E pazienza se prima di crollare la Bubi si trasforma in un lottatore di wrestling. Sopravvivo ai calci e ai pugni, solo per godermi il piacere del suo corpo che piano piano si rilassa, si abbandona. E poi la osservo addormentata. La sua pelle di porcellana, la sua bocca a cuore, le sue lunghe gambe rannicchiate. E le manine unite sotto la guancia, l’archetipo dell’angelo che dorme.

La sera è il momento del massaggio al Patato. Beatitudine estrema. Affondo le mani e la faccia nella sua morbida ciccia. Aspiro a pieni polmoni il suo odorino da neonato. Gli spernacchio il pancino. E lui che si lascia viziare, contento di questo (raro) momento solo con la mamma. Mi ringrazia con urletti di gioia, la bocca aperta, gli occhi espressivi che ridono felici.

Mia madre ogni volta mi assilla: “Fotografa! Riprendi!”. Forse ha ragione lei.

Ma che volete. Preferisco registrare con la mente questi istanti, sperando di riuscire a tirarli fuori nei momenti bui.

Le mamme che invidio (Parte seconda)

Tutte le cose che mamma Giulia continua a non riuscire a fare.

Invidio e ammiro con assoluta sincerità le mamme che usano i pannolini lavabili. Ne guadagna l’ambiente e ne guadagna il culetto dei loro bambini. Io mi son lasciata banalmente scoraggiare dall’idea delle mille lavatrici da fare. Già non riesco a star dietro a quelle normali.

Invidio le mamme che hanno una stanza per i giochi. Da noi i giocattoli della Bubi hanno invaso con sistematicità ogni angolo di casa. E dire che il Patato non sta ancora contribuendo.

Invidio le mamme che fanno splendide acconciature alle loro bambine. Mi accontenterei anche di semplici codini. Quando ci provo, la Bubi fugge inferocita, manco le avessi proposto la cicuta. Come al solito il discorso l’ha chiuso brillantemente il Papais: “I capelli son suoi, li tiene come vuole”. Parole sante.

Invidio le mamme che hanno insegnato ai figli a stare composti a tavola. Da quando abbiamo tolto la barriera al seggiolone Stokke, la Bubi scorrazza come una scimmia da una sedia all’altra, quando non cerca di arrampicarsi sulla tavola. Il più delle volte mangia reggendosi con una gamba sola sul bordo del poggiapiedi.

Invidio le mamme che riescono a mettere a nanna i loro figli contemporaneamente. Le poche volte che ci ho provato, siamo finiti uno sopra l’altro sul lettone. Il Patato agganciato alla tetta e la Bubi accovacciata sulle mie cosce. Alla faccia di Estivill e di “Fate la nanna”.

Invidio le mamme che si fidano del loro istinto. E’ la migliore delle strategie, che nessun libro può insegnare. Io la sto imparando a poco a poco.

Invidio le mamme calme, che non perdono la pazienza, che applicano sempre e comunque il metodo dell’empatia. E’ un periodo un po’ difficile per la mia Bubi, ne parlerò presto in un post. Mi sta davvero mettendo alla prova e la pazienza la perdo, eccome se la perdo.

Sviolinata al Papais

Mio marito non è un uomo. E’ un supereroe.

E’ dotato di speciali sensori che controllano il mio grado di sopportazione dell’universo bambinesco e si attivano automaticamente non appena si supera la soglia critica. Può essere un provvidenziale giro in bici con la Bubi, una favolosa crema catalana preparata in tempi record mentre lotto per addormentare le belve, due righe di email capaci di toccare le corde giuste. Quando mi manca veramente un soffio al tracollo, il Papais trova sempre il modo di evitarlo. Magicamente.

Gode di poteri trasformisti paragonabili a quelli di Barbapapà. Quando ci capita per sventura che la Bubi dorma con noi, l’unmetroeottantasei del Papais riesce a comprimersi in una superficie infinitesimale. La sua schiena si trasforma in un morbido cuscino, solo perché l’isterica non apprezza il suo petto peloso. L’intero suo corpo diventa un sacco da boxe per parare i colpi notturni della tenera creatura.

E’ l’unico in grado di competere con la logorrea della Bubi. Durante le sue crisi tipiche da duenne, lui soltanto riesce a farla ragionare con il solo potere delle parole senza ricorrere agli svariati mezzi di coercizione che tenterebbero la mamma.

E’ capace di passare dallo stato solido a quello liquido in pochi secondi. E’ sufficiente la magica formula, che ormai la Bubi sa usare benissimo e perfettamente a proposito: “Papais, sei un uomo bellissimo”. Il Patato non ha ancora affinato le sue tecniche, ma sono sicura che presto ci riuscirà anche lui.

Tra gli strumenti in dotazione con la tenuta da supereroe credo ci siano:

  • una bacchetta magica. Quando la cucina sembra sopravvissuta a un disastro nucleare e io balbetto un “pulirò domani” prima di collassare sul letto, il Papais me la fa trovare magicamente a posto la mattina dopo (lo so che non ha la bacchetta, santo di un uomo, si sveglia prima dell’alba per farmi di queste sorprese).
  • un paio di occhiali speciali. Solo questo può permettergli di continuare a farmi complimenti anche quando ho raggiunto il livello massimo di imbarbarimento fisico.
  • dei silenziatori potentissimi che gli permettono di prepararsi per l’ufficio lasciando dormire il resto della famiglia. I Bubini si sveglieranno più pimpanti che mai non appena lui sarà uscito, ma per una mamma esausta anche dieci minuti di sonno in più sono come la manna dal cielo.
  • dei razzi metaforici che gli consentono di innalzarsi oltre le magagne quotidiane. Si sa che solo guardando le cose dall’alto si trovano le soluzioni (e si riesce a ridere).

Me lo sono sposato io, questo super papà, e me lo tengo ben stretto. Tié.

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