Ore 14.00. Proporre alla Bubi un “sonnellino” è come chiederle di cuccarsi il Festival di San Remo.
La nanna del pomeriggio lei la odia. Da tempo immemorabile.
All’inizio fu solo il rifiuto del lettino. Se nanna doveva essere, la Bubi si addormentava solo nel lettone e con qualcuno vicino. Altrimenti ciccia.
Poi divenne un’antipatia generica. Chi riusciva a farle prendere sonno con una storia o una canzone, riemergeva alla fine trionfante come se avesse vinto una finale di campionato. Nonnasanta e Nonnoprof combattevano una sfiancante quanto inutile battaglia. Lei persistendo con i metodi della materna, che 9 volte su 10 erano un fiasco colossale. Lui rassegnandosi a scarrozzare la principessa in passeggino. Sfidando intemperie e temperature.
Infine diventò una sfida puramente politica.
“Mamma, c’è il sole, io non vollio dormire.”
Ho provato prendendo la cosa di petto. La Bubi era capace di piangere anche 40 minuti di fila. Qualche volta crollava sfinita. Qualche altra teneva duro fino alla fine.
Ad un certo punto ho concluso che la Bubi non aveva più bisogno del sonnellino pomeridiano. Ho provato a toglierglielo per diversi mesi. Ma dovevo organizzare la giornata in modo da evitare qualsiasi giro in macchina o in passeggino tra le ore 16 e le ore 19. Perché altrimenti lei crollava addormentata, sfasando tutti gli orari della sera.
Putroppo a volte arrivava a fine giornata veramente troppo stanca, e spesso e volentieri si consumava il dramma.
Alla fine ho adottato il buon vecchio metodo della flessibilità. La regola era che non si dorme al pomeriggio. Ma se il livello di capriccio superava la soglia di sicurezza, allora trovavo una scusa qualunque per portarla fuori in passeggino. Io che mi sono sempre imposta di dirle la-verità-tutta-la-verità-nient’altro-che-la-verità, pur di farla dormire mezz’ora mi piegavo alle bugie più becere. Andiamo al parco, andiamo a prendere un gelato, andiamo al bancomat che poi ti compro un chupa-chupa.
Ma non è mica facile ingannarla, la mia Bubi adorata. Qualche volta insisteva per andare a piedi. Oppure cantilenava per tutto il tragitto cercando di non addormentarsi. Si incavolava nera se le tiravo giù lo schienale. Se mi mettevo a canticchiare una canzone, scattava: “Non cantare, sennò mi addormento”. Se allungavo la strada mi domandava all’infinito: “Ma dove stai andando, mamma?”.
Da quando è iniziato il tempo pieno a scuola, questa piacevole odissea è finita.
Ora la palla è passata alle maestre.
Attendo il miracolo.