Se la classe non è acqua

“Giulia, guarda, ti ho preso gli orari. Lunedì e venerdì 20,15 – 22,00.”

“Ehm… sì, grazie.”

“Venerdì mi sembra il giorno giusto, saranno tutti fuori a bere aperitivi, potresti perfino beccarti la corsia libera, tutta per te.”

“Mmmmh, sì.”

 

Una settimana dopo.

 

“Allora, stasera a che ora torni?”

“Ehm… amore, ascolta, mi sento uno straccio stasera. E’ stata una settimana di merda, giusto per dirla in francese. E poi… coff, coff, senti che tosse. Con il freddo che c’è non ho davvero voglia di uscire.”

“Guarda, non ti sto neanche a sentire. Se hai bisogno di qualcuno che ti compatisca, che ti dica poverina, come sei sfruttata e malpagata, che mondo crudele, che vita infame, che paese ingrato, governo ladro, allora quello non sono io. Muovi quel culo, preparati la borsa e vai in piscina. Se vuoi continuare a lamentarti non farlo con me.”

 

Mamma Giulia, lemme lemme, ha cercato cuffia e occhialini, rimosso le ragnatele e riposto tutto docilmente nel borsone.

Dopo i primi 100 metri le sembrava di smuovere due pale da mulino al posto delle braccia e due tronchi di quercia secolare al posto delle gambe. Le sembrava davvero di non potercela fare. Ma i quattro euro e cinquanta pagati per l’ingresso pesavano sulle sue smilze tasche friulane. E quindi ha tenuto duro.

Dopo i primi 500 metri è iniziato il cambiamento. Si è resa conto che lo stile non è acqua. Soprattutto se è stile libero.

Dopo i secondi 500 metri ha sfidato se stessa in un 4×25 delfino. A momenti la ripescava il bagnino dal fondo vasca. Ma ringalluzzita dall’impresa, ha insistito con un 3×200 gambe.

E mentre superava i 2000 e si concedeva l’ultimo 200 sciolto, fiera e gagliarda come da tempo non si sentiva, abbandonata e rilassata in tutto quell’azzurro, il colore delle piscine di tutto il mondo, che l’ha accompagnata da quand’era piccina, ma che fino a ieri le ricordava solo un esperimento politico dagli esiti infausti.

In quel preciso momento Mamma Giulia ha realizzato finalmente che la lamentela non porta da nessuna parte. Soprattutto quando godiamo di questa gran fortuna.

Se in Italia abbiamo Napolitano e Monti, in Mondo Bubino c’è il Papais.

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I Bubini vanno in piscina

Forse qualcuno ricorderà di quando un anno orsono raccontavo del mio totale insuccesso nel trasferire alla Bubi il mio amore per l’acqua (se volete, il post lo trovate qui).

Non paga del fallimento di allora, la mia testardaggine unita alla solita dose di masochismo mi ha portato a investire tutti i sabati degli ultimi mesi in una sorta di maratona natatoria.

Ore 10,00 in piscina con la Bubi.

Ore 16,00 in piscina con il Bubino.

Voi direte: sembra una cosa fattibilissima.

Lo stesso ho pensato io al momento dell’iscrizione.

In realtà il sabato si è trasformato per me in un’impresa organizzativa degna delle migliori multitasking moms. Cosa per la quale non sono evidentemente portata, visto che arrivavo a sera in stato comatoso, incapace di reggere oltre le 21,15. Con il povero Papais che magari avrebbe approfittato del sabato sera per uscire o fare due chiacchiere. E con tutte quelle incombenze che di solito riempiono la giornata festiva – leggi spesa, stiro, lavatrici – che finivano per accumularsi minacciose per i giorni a venire.

All’inizio tutto questo impegno sembrava assolutamente sproporzionato rispetto ai risultati.

Appena apriva gli occhi al mattino, la Bubi partiva con la tiritera del “nonvollioandareinpissina” e ce la metteva tutta per allungare i tempi e arrivare in ritardo. Il pomeriggio, per essere in piscina alle 16, dovevo svegliare il Bubino anche quando non aveva dormito abbastanza. Cosa che lo rendeva piuttosto incazzoso/piagnucoloso/capriccioso sia in acqua che fuori. Fino a sera. Anziché ringraziare la loro super-mamma per la meravigliosa esperienza che gli stava regalando, i Bubini sembravano non apprezzarla affatto. Anzi.

Io, lo ammetto, ho pensato più volte: “ma chi me l’ha fatto fare, fanculo, mollo tutto”.

Eppure – e qui, cari lettori, mi merito un pat-pat sulla spalla – eppure ho tenuto duro.

Ho affinato le mie doti di negoziazione e persuasione con la Bubi. Le ho riempito la testa di racconti di quando ero piccola e avevo paura dell’acqua come lei. Le ho fatto notare quanto stava migliorando dalle prime volte. Che sapeva mettere il mento, la bocca e infine tutta la testa sotto. Il tutto condito da una maestra di nuoto decisamente fuori dal comune. Materna e decisa al tempo stesso. E da compagne di corso particolarmente simpatiche con cui la Bubi ha legato da subito.

Con il Bubino ho cercato di regolare a cronometro i tempi del pisolino. In modo da farlo arrivare in acqua ben riposato. Ha iniziato a divertirsi sul serio. A buttarsi dallo scivolo anche 5 volte di fila. A finire a testa sotto senza fiatare. A ridere anche se beveva.

E’ stata una grande lezione di vita. Per loro e per me.

Magari non diventeranno dei provetti nuotatori. Però questa esperienza gli sta insegnando che per ottenere risultati ci vuole pazienza. Che non bisogna mollare alla prima difficoltà. Che si può giudicare qualcosa solo quando la si è vissuta fino in fondo.

Credetemi, non è cosa da poco.

La Bubi va in piscina

Se io amo l’acqua, l’amerà anche lei.

Ho iscritto la Bubi ad un corso di acquaticità. A quelli a cui di solito si portano i neonati.

Avevo fatto un tentativo a cinque mesi. Ma che volete. Il cloro le faceva esplodere la dermatite. Lo sbalzo di temperatura le scatenava la bronchite. Ho rinunciato.

Complice la maternità, ci ho riprovato quest’anno. Ovviamente mi son presa tardi e i corsi riservati ai duenni erano ormai pieni. Ho scoperto solo dopo che è stato meglio così. I coetanei della Bubi già si lanciano in tuffi carpiati dal bordo.

Lei, l’acqua, la odia.

Però l’avevo pensata proprio bene. Doveva essere un momento piacevole e sereno, un paio d’ore solo io e lei. Per me la piscina ha il sapore inconfondibile delle pizzette del bar che ci divoravamo a fine lezione, soddisfatti e felici. Volevo creare anche per lei un piccolo rituale. Il succo di frutta mentre ci si asciuga i capelli, la banana e i Pavesini una volta usciti, mentre si chiacchiera delle imprese compiute in acqua.

Questo rituale le è piaciuto moltissimo. Anche troppo.

Dopo soli cinque minuti in vasca, inizia la cantilena: “Usciamo, mamma? Voglio il succo. Voglio la banana e i biscotti”.

E io, ostinata: “Dai guarda che bel gioco quello”.

Un neonato di cinque mesi lo puoi anche cacciare a testa sotto senza che se ne accorga. Una bimba di due anni coglie le tue intenzioni prima ancora di cominciare. Appena le maestre si avvicinano per approcciare qualche esercizio, la Bubi si irrigidisce e mi si aggrappa come un koala al suo eucaliptus.

“Usciamo mamma?”

Finire la lezione diventa un’impresa. Come anche cercare di evitare lo sguardo accusatorio delle maestre.

“Usciamo mamma?”

Fuori dalla vasca mi aspettano, nell’ordine. La fila per la doccia. Le urla a duemila decibel della Bubi mentre cerco di lavarle i capelli. Il caldo tropicale nello spogliatoio stipato di mamme agitate e bambini stanchi.

A casa mi aspetta un Patato arrabbiatissimo perché il biberon che avevo lasciato al nonno non è esattamente come la tettina della mami. E la sera, inconfondibile, quell’orrenda sensazione di ingorgo mammario. Chiaro, il Patato ha saltato una poppata, il latte si intasa.

Ma io persevero. L’acqua prima o poi le piacerà. Deve piacerle.