Chi ci consola

“Amore, ti devo dire una cosa importante.”

“…”

“Se mi vedi triste in questi giorni, è perché la nonna bis si è sentita male, si è addormentata e non si è più svegliata”.

“E’ morta?”

“Sì, Bubi.”

“Succede così quando si diventa vecchi vecchi, mamma. A un certo punto si muore.”

“Hai ragione, amore, ma fa tanto male.”

“Eh, ma non si può mica vivere per sempre.”

Mi aspettavo di dover essere io a consolarla. A dover cercare le parole per spiegarle certe cose. Il come e il perché. E invece è successo l’esatto opposto. E’ stata una bambina di 4 anni a confortare me.

Che ci crediate o no, mi sono sentita molto meglio.

Mia nonna Catin è mancata improvvisamente. Sul web c’è. E se volete trovate la sua testimonianza qui.

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Mai senza nonni

Questo post partecipa al
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E leggetevi anche l’intervista al Nonnoprof su genitoricrescono!


Sarò sincera. Ero un’orgogliosa indipendentista.

Una che ci teneva a mantenersi da sola. A farcela con le proprie forze. A chiedere aiuto ai miei solo se strettamentissimamente necessario.

Al liceo sfruttavo solo raramente il brillante latinista che albergava nel Nonnoprof. All’Università trovavo mille modi per sbarcare il lunario, anche se i miei non me l’avevano mai chiesto. Sono (soprav)vissuta all’estero con una borsa di studio da 800 euro, fiera di non dover domandare un centesimo a chicchessia.

Lo ero. Appunto.

Come per 25,000,000 altre cose, anche su questo punto la maternità mi ha trasformata. Adesso “Mai senza nonni” è addirittura una sezione del blog.

E’ stata colpa soprattutto della bismaternità, devo dire.

Quando avevo la Bubi soltanto, il mio spirito indipendentista se ne spuntava fuori prepotente in ogni occasione. Dalla gestione della casa. Che mi ostinavo a voler sbrigare da sola già a una settimana dal parto. Alla gestione della Bubi. Che volevo crescere insieme al Papais, con lui soltanto, senza intromissioni, senza aiuti.

I casi della vita mi hanno riportato sulla terra.

Da un lato c’era il nido, che costava una follia ed era un mefitico covo di virus. La Bubi in un anno se li è beccati tutti, compresa la broncopolmonite da micoplasma pneumonie. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la bronchiolite, passata al povero Bubino, che a neanche due mesi si è ritrovato in ospedale attaccato alla bombola dell’ossigeno.

Dall’altro lato c’era lui. Il Nonnoprof. Disponibile, attento, premuroso e gratuito.

Poveretto. All’inzio gli abbiamo stracciato i maroni a furia di raccomandazioni. Io, mia madre (Nonnasanta), mia suocera. Tutte noi, donne senza fede, brutalmente private del loro ruolo da un nonno maschio. Che per di più si è rivelato bravo. Molto più bravo di noi, per tanti aspetti.

Mio padre non è stata una scelta di comodo. E’ stata (ed è) una manna dal cielo.

Soprattutto ora con la bismaternità, quando i giochi ad incastro sono diventati paurosamente complicati. Poter contare sui miei mi dà respiro. E’ una grande fortuna. Ma siccome voglio essere sincera, vi dirò che questo non sempre mi rende felice. E’ il mio orgoglioso tarlo indipendentista che se ne rispunta fuori e lavora ai fianchi.

Mi ricordo i primi tempi della bismaternità. Il Bubino che poppava ogni due ore. La Bubi in piena crisi regressiva, che mi voleva sempre tutta per sé. Nonnoprof e Nonnasanta che si davano il turno per darmi una mano. In pratica non ero mai sola. Invece che rasserenarmi, però, tutto questo aiuto mi dava una grande insicurezza. Mi tempestavo di domande: ma ce la farò mai a gestire da sola i miei due figli? Se ce la fanno le altre perché io non ci riesco, stupido essere incapace? I miei genitori hanno cresciuto me e mio fratello senza aiuti, perché io senza di loro sono persa?

Quando mio padre se n’è accorto, ha cominciato a prendersi impegni. Apposta. Per diminuire gradatamente la sua presenza in casa. E’ stato mitico. Piano piano mi sono accorta che ce la facevo. Magari scleravo, ma ce la facevo. E la mia autostima ha ringraziato.

Nonnoprof e Nonnasanta ogni tanto mi fanno questa domanda: “Mi pare che non abbiamo fatto danni finora, vero?”

Mamma, papà, non ne avete fatti. Per niente. E ne farete sempre di meno se ogni tanto pensaste a voi stessi. Ma questo è compito mio. Perché lo so che voi non andreste neanche in vacanza, pur di badare ai Bubini. Non si può approfittare dei tossicodipendenti.

Miracolo

Ore 14.00. Proporre alla Bubi un “sonnellino” è come chiederle di cuccarsi il Festival di San Remo.

La nanna del pomeriggio lei la odia. Da tempo immemorabile.

All’inizio fu solo il rifiuto del lettino. Se nanna doveva essere, la Bubi si addormentava solo nel lettone e con qualcuno vicino. Altrimenti ciccia.

Poi divenne un’antipatia generica. Chi riusciva a farle prendere sonno con una storia o una canzone, riemergeva alla fine trionfante come se avesse vinto una finale di campionato. Nonnasanta e Nonnoprof combattevano una sfiancante quanto inutile battaglia. Lei persistendo con i metodi della materna, che 9 volte su 10 erano un fiasco colossale. Lui rassegnandosi a scarrozzare la principessa in passeggino. Sfidando intemperie e temperature.

Infine diventò una sfida puramente politica.

“Mamma, c’è il sole, io non vollio dormire.”

Ho provato prendendo la cosa di petto. La Bubi era capace di piangere anche 40 minuti di fila. Qualche volta crollava sfinita. Qualche altra teneva duro fino alla fine.

Ad un certo punto ho concluso che la Bubi non aveva più bisogno del sonnellino pomeridiano. Ho provato a toglierglielo per diversi mesi. Ma dovevo organizzare la giornata in modo da evitare qualsiasi giro in macchina o in passeggino tra le ore 16 e le ore 19. Perché altrimenti lei crollava addormentata, sfasando tutti gli orari della sera.

Putroppo a volte arrivava a fine giornata veramente troppo stanca, e spesso e volentieri si consumava il dramma.

Alla fine ho adottato il buon vecchio metodo della flessibilità. La regola era che non si dorme al pomeriggio. Ma se il livello di capriccio superava la soglia di sicurezza, allora trovavo una scusa qualunque per portarla fuori in passeggino. Io che mi sono sempre imposta di dirle la-verità-tutta-la-verità-nient’altro-che-la-verità, pur di farla dormire mezz’ora mi piegavo alle bugie più becere. Andiamo al parco, andiamo a prendere un gelato, andiamo al bancomat che poi ti compro un chupa-chupa.

Ma non è mica facile ingannarla, la mia Bubi adorata. Qualche volta insisteva per andare a piedi. Oppure cantilenava per tutto il tragitto cercando di non addormentarsi. Si incavolava nera se le tiravo giù lo schienale. Se mi mettevo a canticchiare una canzone, scattava: “Non cantare, sennò mi addormento”. Se allungavo la strada mi domandava all’infinito: “Ma dove stai andando, mamma?”.

Da quando è iniziato il tempo pieno a scuola, questa piacevole odissea è finita.

Ora la palla è passata alle maestre.

Attendo il miracolo.

Colloquio genitori

Ogni scarrafone è bello (e genio) a mamma soja.

“A parte il pianto disperato al momento del distacco, durante la giornata vostra figlia è molto serena.”

Bene, bene. Me n’ero accorta.

“Diciamo che comincia a interagire con gli altri bambini, ascolta e partecipa abbastanza.”

Cominicia ad interagire? Ma se dopo un giorno mi elencava i nomi di tutti i compagni? Partecipa “abbastanza”?

“Quanto al linguaggio, si fa capire abbastanza bene”.

Si fa capire?!? Ma questa sa di chi sta parlando? La Bubi non smette di parlare da quando aveva 15 mesi. A nemmeno due anni sapeva l’alfabeto a memoria e passava con disinvoltura da un tempo verbale all’altro, compresi congiuntivo, condizionale, passato e trapassato remoto. Non per niente c’ha un Nonnoprof.

Papais, questa sta parlando di un’altra bambina. Sai, con tutti quelli che devono gestire avrà fatto confusione.

Come è possibile che dopo ben due settimane di scuola le maestre non si siano accorte delle doti superlative di nostra figlia? Che non si siano dilungate in lodi sperticate sulle sue incredibili capacità cognitive? Che non abbiano sprecato una parola sui suoi favolosi disegni, sui suoi elaborati discorsi, sulla sua facilità nel socializzare persino con il Mocio Vileda? Che non ci abbiano magnificato le sue mirabolanti potenzialità e non ci abbiano promesso che a cinque anni saprà risolvere equazioni di secondo grado?

“Beh, dai. Non ci ha parlato di problemi, quindi sta andando tutto bene”, se n’è uscito il Papais alla fine con la sua usuale saggezza.

Mi devo rassegnare. La Bubi è un genio solo a casa sua.

Santa subito

Nonnasanta è sposata con Nonnoprof.

Lavora in una scuola materna. E’ capace di gestire da sola una trentina di esseri scatenati senza perdere il sorriso (né le facoltà cerebrali). Nei tre anni che li ha per le mani li trasforma da frignoni pisciasotto in perfetti e autonomi scolaretti pronti per le elementari. I genitori programmano la nascita del secondogenito in modo che finisca nella sua classe. La riempiono di regali, la fermano per strada. L’ultimo giorno di scuola piangono come agnelli al macello: “Non troveremo mai una maestra come lei”.

Nonnasanta non ha nessuna intenzione di andare in pensione. Anzi. Si cucca pure gli straordinari. Perché appena torna a casa l’aspettano i miei adorabili Bubini.

Con loro le strategie della materna non funzionano. La maestra diventa nonna. E tutta la straordinaria professionalità acquisita in decenni di esperienza va a farsi benedire.

A scuola Nonnasanta ne addormenta venti in un colpo solo. Ma si piega a scarrozzare la Bubi in passeggino con trenta gradi all’ombra purché dorma almeno una mezz’ora.

Nonnasanta riesce a far mangiare da soli tutti i suoi alunni, che a fine anno ingollano allegramente persino le odiatissime verdure. Ma rincorre la Bubi con il piatto e la imbocca davanti alla tivù se lei sta passando uno dei suoi (tanti) periodi di inappetenza.

Nonnasanta sopporta con nonchalance le lagne e i pianti dei treenni durante l’inserimento. Ma crolla nel panico assoluto se il Patato frigna più di due minuti. “Che stia male?”

A scuola Nonnasanta intrattiene i piccoli con canzoni e racconti. A casa l’ho sentita più volte decantare le virtù salvifiche di un buon dvd.

La Bubino-dipendenza per Nonnasanta è ormai in fase avanzata. Dopo esserseli sciroppati per tutta la settimana, è capace perfino di invitarci a pranzo la domenica. E di prepararci un pasto da gourmet con annesso babysitteraggio. A fine giornata le viene addirittura in mente di offrirsi volontaria per lavare quelle due valigie piene di roba del mare, che giacciono intonse da settimane.

Basterebbe molto meno per farla santa subito.