Scoperta

 Tre settimane fa.

“Giulia, sei a pezzi. Hai l’umore più nero delle vendite a Cortina, ti incazzi per ogni piuma che cade, non hai mai tempo per te, la tua igiene personale fa schifo, non parliamo della depilatio, son giorni che non riusciamo nemmeno a parlare insieme. Quindi ho preso una decisione. Da oggi faremo una sera io e una sera tu. Oggi tocca a me. Metto a letto io i Bubini.”

La prime due sere ho fatto finta di andarmene di casa. Mi sono nascosta in lavanderia per non farmi sentire. Al buio. E anche piuttosto al freddo.

Dopo le reazioni inconsulte del Papais e del mio intestino (non contemporaneamente), ho deciso che era ora di finirla con i sotterfugi. La Bubi doveva accettare la cosa e basta. [n.d.a. Per il Bubino il problema non si è mai posto. Lui si mette nel suo letto e dorme, incurante di chi ce lo abbia messo].

La prima volta la Bubi ha piantato un dramma che neanche Eleonora Duse. Io ho tenuto duro. Solo perché il Papais mi ha minacciato di una morte lunga e dolorosa se avessi ceduto. La seconda sera ha frignato senza urlare e mi ha chiesto di rimanere con lei solo finché finiva il latte. E poi basta.

Ora la routine è diventata questa. Una sera il papà, una sera la mamma. Liscio come l’olio.

Tre settimane fa.

“Giulia, Bubino oggi ha chiesto di restare senza pannolino. Domani ricordati di portare al nido tre paia di mutandine e tre paia di pantaloni di ricambio.”

“Cosa? Come? Dove? Ma non c’è scritto in tutti i libri che lo spannolinamento si fa in estate? Ma io non sono pronta, non ho comprato niente, a casa ho solo body, non ho canottiere, non ho magliette, e non posso mica mettergli gli slip di sua sorella, quelli con i Barbapapà sono anche carini, ma quelli di Bambi, no, eh? Che poi io sono per crescerli senza preconcetti maschio/femmina, ma questo mi sembra troppo…”

“Giulia, stai tranquilla. Possiamo cominciare anche lunedì.”

Mi aspettavo una lunga maratona tra pozzanghere e rifiuti (vedi qualche mio post di ormai 2 anni orsono qui e qui).

E invece il Bubino sta ormai asciutto tutta la mattina. E gran parte del pomeriggio. E -udite udite-anche di notte. Con la cacca siamo ancora in rodaggio. Quel canederlo marrone gli suscita ancora una certa curiosità ed è più bello ammirarlo che farlo tuffare nel water. In ogni caso, vedermi quel nano girare per casa con le mutandine nere e la maglietta grigia, gli stessi colori del Papais, mi fa saltare il cuore.

E sono rimasta elettrizzata da questa scoperta.

I problemi riescono a risolversi senza che io faccia fondamentalmente un cazzo.

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Sfiorata tragedia

Quegli storditi di mamma e papà avevano perso il mio coniglietto.

Ci dormo assieme da quando sono nato. E’ tutto intriso delle mie puzzette, delle mie sbave, dei miei baci appiccicosi.

Lo adoro.

Quando sono stanco oppure solo un po’ scoglionato, le parole magiche sono due, molto simili tra loro: “etto” (ciuccetto) e “lietto” (coniglietto). E magicamente il mondo mi sorride.

In quella tragica serata il coniglietto non si trovava più. I due storditi di cui sopra l’hanno cercato ovunque. Sotto il materasso, tra le coperte, nel letto della Bubi. Hanno scandagliato il piano di sopra. E il piano di sotto.

Niente.

Una notte me la sono fatta passare.

Dovete sapere che son diventato proprio bravo ultimamente. Se mi sveglio di notte, basta che ritrovo “etto” e “lietto” e mi riaddormento da solo, senza rompere i maroni alla Bubi o ai due storditi di cui sopra.

Quindi non trovare “lietto” nel lettino quella notte non mi ha fatto piacere. Proprio no. Ma è andata. Mi son svegliato solo tre volte. Piuttosto turbato a dire il vero.

Una notte l’ho fatta passare. La sera dopo però non ci ho visto più.

Volevano che facessi a meno di “lietto” un’altra volta. Eh, no, eh? Siete fuori?!?

Pensate che la mamma voleva ingannarmi con il coniglietto della Bubi, che è completamente diverso (n.d.a. è lo stesso coniglio, solo rosa anziché azzurro, l’unica differenza percepibile è che è molto meno consumato, visto che la Bubi non se lo fila nemmeno).

Io allora ho fatto appello al mio intero vocabolario da diciottomesenne e ho detto chiaro e tondo: “IO NO VOIO QUETTO, QUETTO E’ DI BUBI”.

Lo vedevo quel sorrisetto impietosito e deliziato sulla faccia della mamma perché avevo pronunciato la mia prima frase di senso compiuto.

Mi faceva ancora più incazzare.

Finalmente il Papais ha avuto la geniale idea di controllare nel contenitore dei Barbapapà.

Eccolo finalmente.

Che gioia.

Ho festeggiato facendomi subito una bella cagata liberatoria.

Che relax.

Finalmente.

Narrabant antiqui poetae Sirenas

Mamma, dai che sei stanchissima.

Non mi freghi, Bubi.

Dai, che ti addormenti subito.

No.

Dai.

Ho detto di no. Si dorme nel tuo lettino, questa è la regola.

Mamma, restiamo qui nel lettone. Senti che calduccio.

[Dalle argute labbra della sirena tentatrice sortisce un canto ammaliatore. Resisti, o Giulia, resisti. Con metaforica cera il tuo orecchio tura, che non possa penetrarvi la voce. Delle palpebre tue pesanti non ti curare. Non ti distragga dall’obbiettivo tuo altissimo la lunga e gravosa giornata appena conclusa.]

Coraggio, Bubi. Andiamo in camera tua.

Uffa. Io sono stanca. Non riesco a camminare.

Vieni qua. Ti prendo io. Fai silenzio, che il Bubino dorme.

Il Bubino è proprio bello.

Sì, hai ragione.

Te lo dico tutte le sere, vero?

Sì, me lo dici tutte le sere. Adesso chiudi gli occhietti che è tardissimo.

Sei bellissima, sai, mamma?

[Con le sue lusinghe la sirena perdura, alzando la voce bellissima, suono di miele. Resisti, o Giulia, resisti.]

Grazie, tesoro. Adesso però fai le nanne.

Se una persona cattiva ti dice cose cattive, tu ricordati sempre che sei bella e che sei buona. Ricordati, eh?

Va bene, amore, me lo segno. Ora dormi.

….

Mamma?

Cosa c’è adesso?

Tieni.

Cosa?

Una caccola.

Stramberie bubine

Bubi, coraggio, andiamo nel tuo lettino adesso.

Ma io sto bene qua…

Dai che non sei più malata. Conto fino a tre. Uno. Due.

Eccomi. Adesso devi dire tre.

Tre. Adesso nel tuo letto, forza.

Aspetta che voglio vedere Bubino.

Fai piano però.

Guarda come dorme. E’ dolcissimo quando dorme. Sembra piccolo. Piccolissimo.

Hai ragione, Bubi, è veramente dolce.

Gli faccio una carezzina.

Piano, tesoro.

Il Bubino è bellissimo. E’ il più bello di tutti i fratellini. E anche il più morbido. Gli altri fratellini sono pelosi.

Ah, davvero?

Anche tu sei bellissima, mamma.

Grazie tesoro. E anche tu sei bellissima. Ho fatto due bambini proprio bellissimi.

Quando hai fatto me ero un coniglietto, sai? Poi una fata mi ha trasformata in una bambina.

Ah, sì?

Sì, non ti ricordi?

Veramente no.

Mamma, mi racconti quella dei coniglietti?

[n.d.a. quella dei coniglietti è una specie di saga a puntate che va avanti da mesi. E’ iniziata come la storia di una mamma coniglia, che aveva dieci coniglietti, otto bravi e due molto birichini, che ne combinano di tutti i colori. Ogni sera la Bubi mi dà l’incipit per la puntata e io me la invento con il suo contributo.]

Dove vanno oggi i coniglietti?

Dalla Nonna Sara.

Bla bla bla bla bla bla bla bla. Adesso tutti i coniglietti vanno a nanna che sono molto stanchi. Forza giù la testina anche tu che è tardissimo.

Mettimi bene le coperte.

Ecco.

Mettile benissimo.

Ecco le ho messe benissimo.

E dammi il braccino.

Così?

No, senza questa. [n.d.a. la manica]

Ok, adesso chiudi gli occhietti.

Pcù pcù pcù pcù pcù.

E questo cos’é?

Sono le pale del mulino che girano.

Bene, ma anche le pale adesso sono stanche e fanno le nanne.

Sì, si sono fermate. Mettimi bene le coperte.

Ecco.

Mettile benissimo.

Ecco fatto. Adesso dormi.

Ci son due coccodrilli ed un orangotango…

Bubi, adesso basta. Silenzio e nanna.

Non le voglio più le coperte che sennò non mi addormento.

Stai come vuoi, basta che dormi.

Mamma?

Dimmi.

Sei brava, sai?

Meno male

La tua adorabilità è indiscutibile.

Ridi digrignando quei quattro denti, due sotto e due sopra. Come un castorino.

Li usi quei dentini. Accidenti se li usi. Trituri qualsiasi genere di oggetto commestibile e non. E qualche volta anche la ciccia della mamma.

Se ti chiedo dov’è Bubino, indichi lo specchio con un gridolino di soddisfazione.

Adori distruggere le torri di cubetti. Non riesco ad arrivare neanche al terzo cubo che li hai già seminati per terra. E ti batti pure le mani da solo per complimentarti.

Stai imparando a dare baci. Avvicini la bocca alla mia guancia e mi salivi sopra. Mai a comando però. Solo quando gira a te.

Per annuire dici “ci” sottolineandolo con la testa. Tutto convinto.

Appena arrivi dai nonni, vai da solo a prenderti i tuoi dvd preferiti. E poi punti il telecomando per farli partire.

Hai la pelle talmente morbida e soffice che mi ci tufferei dentro. Cambiarti il pannolino è una tentazione continua. Ti mangio di baci. Parto da quei ghiotti piedini rosa. Proseguo con le succulente coscette cicce. Continuo con il pancino rotondetto. Finisco con il collo appetitoso.

Meno male che sei un assoluto tesoro.

Meno male.

Perché se rompessi le palle di giorno come le rompi ogni notte ti avrei già dato in adozione.

Scherzo ovviamente.

Run, mommy, run

C’è che un bel giorno ti ritrovi incinta.

Trascorri 9 mesi placidamente coccolata dal mondo intero. Ritmi lenti. Vita sana. Grandi dormite. C’è la casa da finire, è vero, la cameretta da preparare, è vero. Ma c’è tutto il tempo. Faremo un po’ alla volta. Con calma.

Poi arriva lei.

Le tette che fanno male. Il tuo latte che non basta. Notti insonni. Prendi il tiralatte. Prova con il biberon. Prova con l’artificiale. E no cacchio. Vuoi insistere un poco. Bene ce l’hai fatta. Brava.

Fiuuuu. Respira. Goditi la tua creatura. Fai passeggiate. Rilassati.

No. Non puoi. C’è la bronchite. Cacchio. A cinque mesi. Aerosol. Antibiotici. E poi lo svezzamento. Bene, ce l’hai fatta. Brava.

Fiuuuuuuuu. Respira. Hai una stupenda creatura che mangia le pappe e inizia a gattonare. Ed è estate. Rilassati.

No. Non puoi. Si sveglia anche 12 volte per notte. E poi devi ritornare in ufficio. Riorganizzare le giornate. Il nido non te la prende prima dei 12 mesi. A chi la lasci. Ok, bene, c’è il nonno. Rilassati. No, perché ancora non dormi affatto. Prova “Fate la nanna”. E’ duraduraduradura. Ma funziona. Brava.

Fiuuuuuuuuuu. Respira. La tua meravigliosa figlia dorme tutta la notte. L’inserimento al nido va bene. Rilassati.

No. Perché sei incinta di nuovo. Sei felice. Ma non hai tempo per crogiolarti. La tua pancia cresce senza che tu te ne accorga. Perché stai lottando con le bronchiti della primogenita. Che è ammalata una settimana sì e tre no. Che non dorme. Che non mangia. Che si becca pure la polmonite. E perché c’è la casa ancora da finire, viviamo ancora con le lampadine sul soffitto. Dobbiamo sbrigarci.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuu. Respira. Sì, perché tua figlia è stupenda. Parla parla parla, in continuazione. E’ buffa, divertente. La mangeresti di baci. E poi c’è il corso di nuoto. Goditi un po’ il tuo pancione. Rilassati.

No. Perché il pediatra ha consigliato di non mandarla più al nido. E’ a casa con te. E la gelosia già si affaccia alla tua porta. Lei ha capito che qualcosa sta cambiando. Dorme solo abbracciata a te. Fa incubi. E poi tu cadi. Ti rompi un piede. Ultimo mese di gravidanza ingessata. In apnea.

E poi nasce lui.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuuuu. Respira. E’ un amore di bambino. Di quelli che manco a sognarli. Sei fortunata. Rilassati.

No. Ancora no. Arrivano le crisi di gelosia. I capricci inconsulti. Non sai come gestirli. Ma ce la fai. In qualche modo ce la fai. Devi svezzare lui dal tuo latte. E svezzare lei dalla mammite. E poi la scuola materna. I pianti per l’inserimento. E il piccolo che non è più piccolo. Che gattona anche di notte nel suo letto. Poi torni in ufficio. Ti sembra quasi rilassante. Respira.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu. Lavorare ti permette di riconquistare un po’ di spazio. Non sei più solo una mamma. E questo ti dà una certa ebbrezza. Ti sembra di poter fare di tutto. Ora.

Ma non è così. Non è mica finita.

Appena ti convinci di essere arrivata. Di aver fatto il giro di boa. Di poter imboccare finalmente la strada in discesa. Ecco. Ti accorgi che devi ricominciare di nuovo.

Lo so. Così è la vita. E non sono solo io a correre in continuazione. E’ che qualche volta vorrei fermarmi a respirare sul serio.

Ne ho davvero bisogno.

Bubinopatia

In giovine età soffrivo un po’ di metereopatia. Con la mammità, invece, sono diventata Bubinopatica.

Nel senso che il mio umore è indissolubilmente legato al loro. Sono serena se lo sono loro. Sono incazzosa se lo sono loro. Basta uno dei due. E quando lo stesso mood lega entrambi, gli effetti su di me si amplificano al punto da diventare letali.

E’ un periodo d’oro per la Bubi. In poche ore può passare da uno stato di euforia saltellante alla peggiore crisi isterica.

Svegliandola al mattino non so mai quale Bubi mi accoglierà.

Se sarà quella rabbiosa e aggressiva, comincerà ad urlare perché ho acceso la luce, perché non le ho messo bene la fascia tra i capelli, perché la manica si è incastrata mentre la vestivo, perché il latte è troppo freddo o troppo caldo. Mi prenderò probabilmente un fracco di legnate. Il Bubino si sveglierà di soprassalto, preso dal panico. E ci vorrà un buon quarto d’ora per calmarlo. Io arriverò in ufficio in ritardo, con umore pessimo, pronta a mangiar vivo il primo collega che mi capiterà a tiro.

Se ad accogliermi sarà la Bubi dolce e accomodante, mi prenderà il viso tra le mani e mi dirà: “Non farò mai più i caprissi, mamma. MAI PIU’”. Mi riempirà di baci e mi stringerà con le sue braccine magre. Faremo colazione in una nuvola di confidenze e di chiacchiere. Mi saluterà allegra augurandomi “Buona giornata!”. E io entrerò in ufficio, sempre in ritardo, ma leggera come una piuma, convinta che mia figlia sia la creatura più adorabile della terra e che io sia la mamma più fortunata del mondo.

Per la sera stesso discorso. Ma non è detto che la Bubi che mi ha accolto al mattino, sia la stessa che vado a prendere a scuola.

Qualche malalingua in vena maschilista potrebbe sentenziare che di donna si tratta, anche se in miniatura. Ma tu, malalingua, non pensare che il Bubino sia da meno.

Se di solito è un adorabile e sorridente patatone, nelle sue giornate storte ogni gesto minimo diventa una lotta infernale. Si divincola come una tigre per non farsi mettere il giubbotto. Mi sputa addosso la cena. Si butta per terra urlando se oso infilargli le scarpine. Balbetta monosillabi incomprensibili, arrabbiandosi di brutto se non capisco.

Forse sono stanchi. Non dormono abbastanza. La messa a letto è una lotta ogni volta e non si finisce mai prima delle 22,00.

Forse sono capricciosi e viziati. Non gli diamo abbastanza regole.

Forse vengono rapiti dagli alieni che li sostituiscono temporaneamente con dei cloni difettosi.

O forse sono io. Dovrei combattere la Bubinopatia, mostrarmi sempre allegra ed empatica, andare loro incontro dandogli io una direzione, senza farmi trasportare da loro. Il Papais è molto più bravo di me in questo. Io no. E tanto per crogiolarmi nell’autocommiserazione, aggiungo che sono proprio una pessima mamma. Stanca e stufa.

Almeno fino al prossimo cambio di umore.

 

Lo sbattezzo

Ego te sbaptizo.

Dodici mesi.

Dodici chili.

Dodici risvegli nella notte nera,

vorrei dormire per una vita intera.

Dodici i minuti che resti nel lettino,

poi piangi e vuoi sempre qualcuno vicino.

Dodici capocciate ti prendi al giorno,

se non ti blocco t’infili anche nel forno.

Dodici dentini che dovrebbero spuntare,

ne hai solo due e gli altri ti fan penare.

Dodici cose con due mani vorresti afferrare,

nove le lecchi e tre le stai per ingoiare.

Dodici secondi ci ho messo a innamorarmi,

non m’importa se non riesco mai a riposarmi.

Dodici volte in 48 ore

è la media della tua evacuazione.

Se la cacca è sintomo di abnegazione,

tu dell’umanità diventerai un benefattore.

Eri Patato, ma non lo sei più da tempo.

Ora che hai un anno è arrivato il momento,

altro che Patato, tu sei un portento.

Avevo scelto un nome troppo metaforico.

D’ora in poi sarai Bubino. Più generico.

Routine e sfiga

Ridimensionare. Ecco la chiave.

Queste ultime settimane sono state un’estenuante battaglia contro le più varie amenità. Dalle più banali, come le notti magiche per colpa di un Patato insonne (saranno i denti? la sete? la sfiga?), a quelle intermedie (vedi scarlattina e influenze collettive), fino alle più serie, che ci hanno spedito direttamente in ospedale. Ne siamo usciti per tre sole ragioni.

Primo. Perché siamo rock (come dice sempre la Bubi) e “a noi non ci sconfigge nessuno”.

Secondo. Perché esiste il Nonnoprof, sempre disponibile e sempre in forma, nonostante gli straordinari pazzeschi a cui l’abbiamo costretto.

Terzo. Perché prima o poi tutto finisce. E si torna alla routine.

Ma ci sono casi in cui la malattia diventa la routine. Ne ho ascoltate tante di storie in questi giorni. I genitori alla fine ce la fanno. Perché devono farcela. Ma a che prezzo?

Un amico che ha un bimbo diabetico tempo fa mi ha girato queste righe. Ve le riporto integralmente, perché mi hanno davvero colpito.

Il giorno 14 novembre ho partecipato come volontaria, alla giornata mondiale del diabete e sono rimasta al quanto stupita di come le persone alle quali è stato rilevato un valore glicemico piuttosto alto, persone adulte, si consolassero con la battuta “ben ben el diabete el lo ga anca el Sindaco de Trent!” e non ho potuto fare a meno di associarli a quelli che sempre più spesso sento dire “bè al giorno d’oggi non è così grave come una volta”…

In parte forse queste persone hanno ragione, perché il diabete sappiamo che in sé non è una malattia invalidante e che in realtà permette, con un corretto stile di vita, di ottenere le stesse soddisfazioni di chi il diabete non lo ha e il nostro Sindaco con le sue affermazioni di questi giorni può esserne un esempio, ma forse queste persone non hanno mai avuto a che fare veramente con il diabete e pertanto non gli è molto chiaro quanto poco scontata sia la possibilità di condurre una vita “normale”, ma quanto impegno invece comporti arrivar ad ottenere questo risultato, pertanto io che non ho il diabete di tipo 1, né di tipo 2 ma sono una diabetica di “tipo 3”, (così sono definita quando dico di essere mamma di due bambine diabetiche, perché anche se la malattia non colpisce in prima persona i genitori, quando il diabete entra in casa, di diabete si ammala tutta la famiglia ed i genitori lo vivono quasi quanto i figli essendo le figure principali di riferimento per la gestione quotidiana), non ho potuto fare a meno di pensare a quei genitori che ogni giorno, nonostante tutti gli sforzi possibili anche da parte dei loro figlioli, si trovano a dover rincorrere valori di glicemia che cambiano nell’arco di poche ore senza alcun apparente motivo, sentendosi il più delle volte colpevoli per questo; a quei genitori che si trovano a dover misurare la glicemia anche più di 10 volte al giorno ad un bambino di un solo anno perché è difficile capire a quell’età se il suo pianto sia dovuto a capricci o magari ad un malessere portato da un’ipoglicemia; a quei genitori che devono riuscir a far accettare la cronicità di una malattia come il diabete e che nel momento in cui si sentono chiedere quando guarirò?, non hanno ancora una risposta da dare; a quei genitori che a volte si trovano a dover “implorare” la collaborazione degli insegnanti per poter star, non dico sereni, ma almeno un tantino tranquilli mentre i loro figli sono a scuola, ma che non sempre – purtroppo – trovano la collaborazione che si aspettano da un educatore; a quei genitori che si alzano in piena notte per controllare la glicemia del figlio temendo un’ipoglicemia notturna; a quei genitori che non sempre hanno un solo figlio a cui pensare ma che la malattia li porta ad avere un atteggiamento più attento nei confronti di quello malato sacrificando a volte le esigenze di quello sano; a quei genitori che con il cuore in gola e facendosi quasi violenza nell’ansia totale, salutano il figlio che parte per la gita – perché è giusto che faccia le stesse esperienze dei compagni –  e si sentono chiedere “ma in caso di ipoglicemia lui sa ben cosa fare vero?” (…certo, ma forse se lo volessero sapere anche gli altri, sarebbe molto più sicuro per tutti); a quei genitori che consolano le lacrime del figlio quando, tornando da una festa della scuola, della catechesi o della propria squadra, le giustifica dicendo che a lui non è stato dato un dolce ma gli è stato detto che lui sa bene il perché e quindi dovrebbe capire; a quei genitori che, dal momento dell’esordio, conoscendo quali possano essere le complicanze del diabete dopo un certo periodo di anni di malattia, si trovano a fare i conti pensando che già a 15 anni possano manifestarsi sui loro figli; a quei genitori che non trovano collaborazione nei parenti che non riescono a capire che il “ma dai per una volta” è diseducativo e non aiuta nessuno; a quei genitori che si sentono in colpa nell’essere “sani”…

Ecco credo sia giusto che tutte quelle persone e pure quelle che forse leggeranno queste righe, sappiano anche questo, che l’essere diabetico non è solo rinunciare alla cioccolata, alla marmellata e ai dolci, cosa tra l’altro che i bambini se educati in maniera corretta alla malattia, capiscono meglio e prima degli adulti, ma è un impegno molto più grande da vivere giorno dopo giorno per tutta la vita, anche se magari non sarà pesante come quella di un Sindaco, un impegno da mettere in quello zainetto con tutto l’occorrente che ai bambini con diabete viene insegnato, sin dal giorno dell’esordio, di portare sempre con loro e di non dimenticare mai!!

Sabrina Moser

Certe notti

Certe notti o sei sveglio o non sarai sveglio mai.

“Tu almeno tra le due e le quattro mentre io facevo giocare il Patato più sveglio che mai in camera della Bubi, tu almeno hai dormito!”

“Beh, tu almeno non ti sei preso i calci della Bubi che è arrivata all’una facendosi spazio nel lettone a suon di gomitate.”

“Li ho sentiti, li ho sentiti. Il Patato almeno l’avevo stancato.”

“Stancato? Ma se mi ci sono volute altre due ore! Non ha funzionato neanche un intero biberon. Tu almeno mentre io provavo ad addormentarlo tra le quattro e le sei hai dormito.”

“Dormito? Ma se la Bubi mi aveva costretto nell’angolo del letto e a momenti cadevo giù”.

“Insomma. Hai dormito anche tu dalle sei alle sei e mezza.”

“Mezz’ora, sì.”

“Come me.”

“Sì. Ti amo”

“Ti amo anch’io”.

Niente rinsalda il legame di coppia come le notti in bianco.