Momenti di assoluto godimento

In genere durano poco. Ma la felicità di mamma Giulia viene anche da questi piccoli lussi quotidiani.

Intanto, finché sono in maternità, possiamo svegliarci con calma. E concederci il piacere assoluto di una buona mezz’ora di cocccole nel lettone prima di cominciare la giornata. La Bubi che abbraccia il Patato. Lui che la ricambia con i suoi adorabili gorgheggi. Io che li divoro entrambi di baci, gli faccio il solletico, li spatacchio.

Se qualche nonno è tanto gentile da guardare il Patato, il riposino del pomeriggio io e la Bubi lo facciamo nel lettone. Me ne frego delle regole. Dormire con il proprio bimbo è un godimento troppo grande per non concederselo mai. E pazienza se prima di crollare la Bubi si trasforma in un lottatore di wrestling. Sopravvivo ai calci e ai pugni, solo per godermi il piacere del suo corpo che piano piano si rilassa, si abbandona. E poi la osservo addormentata. La sua pelle di porcellana, la sua bocca a cuore, le sue lunghe gambe rannicchiate. E le manine unite sotto la guancia, l’archetipo dell’angelo che dorme.

La sera è il momento del massaggio al Patato. Beatitudine estrema. Affondo le mani e la faccia nella sua morbida ciccia. Aspiro a pieni polmoni il suo odorino da neonato. Gli spernacchio il pancino. E lui che si lascia viziare, contento di questo (raro) momento solo con la mamma. Mi ringrazia con urletti di gioia, la bocca aperta, gli occhi espressivi che ridono felici.

Mia madre ogni volta mi assilla: “Fotografa! Riprendi!”. Forse ha ragione lei.

Ma che volete. Preferisco registrare con la mente questi istanti, sperando di riuscire a tirarli fuori nei momenti bui.

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Le mamme che invidio (Parte seconda)

Tutte le cose che mamma Giulia continua a non riuscire a fare.

Invidio e ammiro con assoluta sincerità le mamme che usano i pannolini lavabili. Ne guadagna l’ambiente e ne guadagna il culetto dei loro bambini. Io mi son lasciata banalmente scoraggiare dall’idea delle mille lavatrici da fare. Già non riesco a star dietro a quelle normali.

Invidio le mamme che hanno una stanza per i giochi. Da noi i giocattoli della Bubi hanno invaso con sistematicità ogni angolo di casa. E dire che il Patato non sta ancora contribuendo.

Invidio le mamme che fanno splendide acconciature alle loro bambine. Mi accontenterei anche di semplici codini. Quando ci provo, la Bubi fugge inferocita, manco le avessi proposto la cicuta. Come al solito il discorso l’ha chiuso brillantemente il Papais: “I capelli son suoi, li tiene come vuole”. Parole sante.

Invidio le mamme che hanno insegnato ai figli a stare composti a tavola. Da quando abbiamo tolto la barriera al seggiolone Stokke, la Bubi scorrazza come una scimmia da una sedia all’altra, quando non cerca di arrampicarsi sulla tavola. Il più delle volte mangia reggendosi con una gamba sola sul bordo del poggiapiedi.

Invidio le mamme che riescono a mettere a nanna i loro figli contemporaneamente. Le poche volte che ci ho provato, siamo finiti uno sopra l’altro sul lettone. Il Patato agganciato alla tetta e la Bubi accovacciata sulle mie cosce. Alla faccia di Estivill e di “Fate la nanna”.

Invidio le mamme che si fidano del loro istinto. E’ la migliore delle strategie, che nessun libro può insegnare. Io la sto imparando a poco a poco.

Invidio le mamme calme, che non perdono la pazienza, che applicano sempre e comunque il metodo dell’empatia. E’ un periodo un po’ difficile per la mia Bubi, ne parlerò presto in un post. Mi sta davvero mettendo alla prova e la pazienza la perdo, eccome se la perdo.

La Bubi va in piscina

Se io amo l’acqua, l’amerà anche lei.

Ho iscritto la Bubi ad un corso di acquaticità. A quelli a cui di solito si portano i neonati.

Avevo fatto un tentativo a cinque mesi. Ma che volete. Il cloro le faceva esplodere la dermatite. Lo sbalzo di temperatura le scatenava la bronchite. Ho rinunciato.

Complice la maternità, ci ho riprovato quest’anno. Ovviamente mi son presa tardi e i corsi riservati ai duenni erano ormai pieni. Ho scoperto solo dopo che è stato meglio così. I coetanei della Bubi già si lanciano in tuffi carpiati dal bordo.

Lei, l’acqua, la odia.

Però l’avevo pensata proprio bene. Doveva essere un momento piacevole e sereno, un paio d’ore solo io e lei. Per me la piscina ha il sapore inconfondibile delle pizzette del bar che ci divoravamo a fine lezione, soddisfatti e felici. Volevo creare anche per lei un piccolo rituale. Il succo di frutta mentre ci si asciuga i capelli, la banana e i Pavesini una volta usciti, mentre si chiacchiera delle imprese compiute in acqua.

Questo rituale le è piaciuto moltissimo. Anche troppo.

Dopo soli cinque minuti in vasca, inizia la cantilena: “Usciamo, mamma? Voglio il succo. Voglio la banana e i biscotti”.

E io, ostinata: “Dai guarda che bel gioco quello”.

Un neonato di cinque mesi lo puoi anche cacciare a testa sotto senza che se ne accorga. Una bimba di due anni coglie le tue intenzioni prima ancora di cominciare. Appena le maestre si avvicinano per approcciare qualche esercizio, la Bubi si irrigidisce e mi si aggrappa come un koala al suo eucaliptus.

“Usciamo mamma?”

Finire la lezione diventa un’impresa. Come anche cercare di evitare lo sguardo accusatorio delle maestre.

“Usciamo mamma?”

Fuori dalla vasca mi aspettano, nell’ordine. La fila per la doccia. Le urla a duemila decibel della Bubi mentre cerco di lavarle i capelli. Il caldo tropicale nello spogliatoio stipato di mamme agitate e bambini stanchi.

A casa mi aspetta un Patato arrabbiatissimo perché il biberon che avevo lasciato al nonno non è esattamente come la tettina della mami. E la sera, inconfondibile, quell’orrenda sensazione di ingorgo mammario. Chiaro, il Patato ha saltato una poppata, il latte si intasa.

Ma io persevero. L’acqua prima o poi le piacerà. Deve piacerle.

Mamma con il gesso, parto di successo

Tanto per presentarmi sappiate che ho partorito con una caviglia rotta.

Ora ne sono certa. Tutti i miei amici e conoscenti davanti a me si sono profusi in “poveriiiiina!!”, ma alle mie spalle si sono fatti quintali di grasse risate.

Nono mese di gravidanza. Una figlia di due anni in piena crisi regressiva. Il corso di ginnastica in acqua a cui arrivavo costantemente in ritardo. Quando la Bubi si è impuntata che non voleva scendere le scale da sola, non ci ho pensato sopra più di tanto. Mi sono caricata in braccio i suoi tredici chili. Che sommati alla borsa di nuoto facevano sedici. Che sommati alla mia panza facevano trenta.

Morale. Sono ruzzolata dalle scale e in un nano secondo mi sono ritrovata gambe all’aria come una cimice capovolta. La Bubi ok. Il Patato nel pancione ok. La mia caviglia no, anche se me ne sono accorta diverse ore dopo, concentrata com’ero a tranquillizzare la poverina. Che era terrorizzata dalla caduta, ma anche dal fatto che la sua mamma si trascinava come un marine per raggiungere la porta di casa e il telefono (il cellulare chiaramente l’avevo dimenticato dentro).

Ho passato le due settimane successive in apnea.

Potevo spostarmi solo usando le stampelle. Dopo due giorni avevo i bicipiti di Yuri Chechi.

Per salire al piano di sopra di casa nostra dovevo girarmi di schiena, sedermi sui gradini e far leva sulle braccia senza minimamente sforzare il piede. Ma lavorando sempre di bicipiti.

Nel frattempo la crisi regressiva della Bubi aveva raggiunto livelli da record. Si addormentava solo con noi nel lettone. E siccome la signorina ha l’abitudine di dormire al contrario, passavo la notte sperando che non desse capocciate al mio gesso.

Il Patato ha deciso che era il Momento in piena notte. Quando mi hanno visto arrivare traballante sulle stampelle, anche le infermiere e le ostetriche si sono fatte le loro grasse risate alle mie spalle. Ridevano di meno in pieno travaglio, quando il mio gesso sfiorava pericolosamente le loro tempie.

Alla centoventesima che mi chiedeva “ma come hai fatto a farti male?”, ho risposto “sciando”. Stava per chiamare i servizi sociali e dare in adozione il povero Patato appena sfornato.