“Due paradossi sono meglio di uno”, ha detto il fisico Edward Teller, “possono perfino suggerire una soluzione”.
Quindi a questo punto io dovrei esserci molto vicina. Alla soluzione.
E’ che mi trovo immersa fino al collo nei paradossi. O meglio sono io il paradosso vivente.
Ho un lavoro part-time, non impegnativo, nessuno si scompone se mi assento visto che le mie mansioni sono né più ne meno quelle di una stagista. Questo mi permette grandi e inaspettate libertà, compresa quella non secondaria di riuscire a gestire i Bubini in discreto relax. Eppure vagheggio responsabilità, progetti, impegni. Telefonate che arrivano nel fine settimana. Appuntamenti inderogabili. Riunioni. Trasferte. Sogno di poter utilizzare almeno in parte il cervello che madre natura mi ha regalato. Anziché tenerlo in parcheggio per il resto dei miei giorni.
Adoro i miei Bubini. Adoro passare il tempo con loro. So bene che non resteranno piccoli a lungo. Che devo godere appieno di questi momenti dolcissimi e unici. I baci umidicci del Bubino. Le frasi celebri della Bubi. Il “ci-son-due-coccodrilli” cantato a squarciagola ballando con il culetto e con le mani. La Bubi che incrocia gli occhi urlando “Gong!” e il Bubino che letteralmente si piega dalle risate. Eppure non mi basta. Non riesco a immaginare una vita intera fatta solo di questo.
Se me lo chiedete rispondo di “sì”. Senza esitare. Sono felice. La mia vita è felice. Sono innamorata di mio marito e dei miei bambini. Non farei cambio con nessuno al mondo. Eppure sono rovinata dalla dermatite. Una dermatite che non mi dà tregua, di cui non si trova la causa. Mi gratto e mi gratto. Di notte e di giorno. Malattia psicosomatica, dicono.
Se due paradossi sono meglio di uno, forse un centinaio di loro sommati insieme mi daranno la soluzione.
Almeno spero.