Quando accompagni il Bubino al nido, lo saluti abbracciandolo forte.
“Lo so che non è facile, Bubino, però adesso vai. Ti aspetta la maestra.”
Lui ti guarda.
Adorante. Fiducioso.
Ti risponde quieto: “Sì, Bubi.”
E va.
Tra lo sguardo incredulo della maestra Patrizia e quello compiaciuto del Papais.
Quando il Bubino è ammalato, riusciamo a fargli prendere le medicine solo con il tuo indispensabile aiuto.
“Mmmmm, che buono, mamma, dallo a me lo sciroppo”, menti tu, convincente.
“Noooo, è mio, è mio!”, scatta il Bubino all’istante.
Stesso giochino quando il Bubino pianta il canonico capriccio perché non vuole vestirsi.
“Bella quella maglietta, me la metto io”, parti tu, senza che nessuno te lo chieda.
Sei di una persuasione micidiale.
Risultato garantito in cinque secondi netti.
L’altro giorno, al parco. Approfittiamo del primo tepore dopo mesi per due scivolate.
Peccato che la cima del castello sia presidiata da un’indisponente treenne, che approccia il Bubino con un: “Tu sei piccolo, non puoi salire”.
L’incauta non ha fatto i conti te, Bubi.
“Bubino, vieni qua, gioco io con te”, lo rassicuri tu.
E poi subito, feroce, rivolta all’asociale reginetta del castello: “Lo scivolo è di tutti. Guarda che chiamo subito il mio papà e vedrai cosa ti fa.”
Il Bubino non conosce ancora i colori. Fa una gran confusione soprattutto tra verde e blu. Ma quello che per me resta un mistero è che quando glieli chiedi tu, sgranando le perline della tua collana di cuori, non ne sbaglia uno.
Forse il tuo “bravo” ha un altro valore per lui rispetto al nostro.
Eravamo in macchina ieri sera.
Solo io e te, direzione nido.
“Mamma, ti devo dire una cosa molto seria.”
“Dimmi, amore.”
Quando parti così ci si può aspettare di tutto.
“E’ bello essere in due, sai?”
“In che senso?”
“In due piccoli. Due fratelli in famiglia. E’ bello avere un fratello.”
La curva della mia autostima ha subito una vertiginosa e istantanea impennata. Abbiamo fatto un bel lavoro. Proprio un bel lavoro.
Solo che dopo hai proseguito.
“Sarebbe bello anche in tre, che ne dici?”