Il guerriero

Quando sono rimasta incinta la prima volta, un girino microscopico ha catalizzato in un istante l’amore più grande che io potessi mai immaginare. La Bubi mi ha stregato talmente, che temevo non restasse più niente per un secondogenito. E invece ho scoperto che l’amore è illimitato. Il Bubino non ha dovuto farsi spazio. L’amore si è semplicemente moltiplicato, senza grossi sforzi. Una specie di miracolo evangelico.

Pensavo fosse tutto legato ai legami atavici, una questione di genetica. E’ un rapporto assolutamente carnale, quasi animalesco, che ho costruito nel tempo. Iniziando ad allattarli al seno, a baciarli, accarezzarli e annusarli come una gatta con i suoi cuccioli, pronta a ringhiare per proteggerli.

 

Pensavo fosse genetica.

 

Ma poi è arrivato lui. Un piccolo guerriero dagli occhi neri.

Con la sua andatura barcollante, incerta sulle gambette magre.

Con i suoi riccioli perfetti, che sembrano disegnati a mano e solo se ne tiri uno ti accorgi di quanto sono lunghi.

Con la sua pelle levigata, le sue ciglia girate all’insù, il suo sguardo curioso ed allegro.

E con la sua storia. Piena di dignità. E di forza. E di fegato.

Non è nemmeno figlio mio, io sono solo la zia, la zia zitella innamorata. Mi sono sentita le lacrime salire dal petto fino agli occhi. Mi sono ritrovata commossa, affascinata, senza contegno. Mi sono scoperta ad annusarlo sul collo, a scoprire quei profumini che hanno anche i miei Bubini. Una mamma gatta, anche con lui.

No, la genetica non c’entra.

 

Figurarsi se c’entra il colore della pelle.

Pubblicità

Ti rendi conto

 Ti rendi conto che sono cresciuti quando si intrattengono tra di loro senza bisogno di te. Anzi, a volte sembra quasi che la tua presenza li infastidisca.

“Vai via, mamma, sto leggendo io al Bubino”.

“Vai via, mamma, ci siamo già messi d’accordo”.

 Ti rendi conto che sono cresciuti quando hanno il loro giro di amici con cui condividono routine e segreti. Un mondo da cui tu sei esclusa. Si salutano tra loro come navigati adolescenti. Ridacchiano e si sussurrano frasi all’orecchio. Si scambiano commenti sui vestiti.

L’altro giorno ho sentito il Bubino mostrare tutto fiero la maglietta al suo amico Mathias e dire: “Hai visto che bello che sono oggi?”.

 Ti rendi conto che sono cresciuti quando se ne stanno dalla vicina per oltre un’ora senza che tu riceva alcun segnale di allarme.

Era solo un anno fa che la Bubi si è fatta accompagnare fino al supermercato in lacrime, perché dalla vicina proprio non ci voleva restare. A quel tempo la vicina era la Féscion e suo figlio era l’Armato. Diciamo che aveva i suoi buoni motivi. Questa volta c’è Camilla, vulcanica e coinvolgente, e la sua mamma Anna, 40 kg di energia pura. Farsi allegramente i cavoli propri mentre i figli giocano sereni al piano di sotto davvero non ha prezzo.

 Ti rendi conto che sono cresciuti quando finiscono per assomigliare agli adulti. Per le cose peggiori. Tipo la fiatella del mattino. O la flatulenza sotto le coperte.

 Ti rendi conto che sono cresciuti quando ti sembra finalmente di avere l’energia e la forza di rimetterti in gioco. Anche fuori dalla famiglia.

E questa è cosa buona e giusta.

Da grandi

“Da grande io sarò veterinaria.”

“Certo, Bubi, lo dici sempre.”

“Quando il dottore non c’è, ci sarò io a curare gli animali. Però quando c’è, me ne starò a casa con la mia bambina.”

“Ah, dai. Avrai una bambina. E come si chiamerà?”

“Margherita. E io mi chiamerò Stella.”

“Avrai anche un bambino?”

“Certo. Filippo.”

“Bei nomi. E tu, Bubino? Cosa vuoi fare da grande?”

“Il Grande.”

Non avrà la logorrea di sua sorella, ma quanto a idee chiare il Bubino non ha rivali.

Bella questa

Nel blog di Federica ho trovato questa frase.

E’ talmente bella che ve la regalo.

Dite: è faticoso frequentare bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto. Non è questo che più stanca. É piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.
Janusz Korczack

Le grandi domande della vita

I perché che non smetterò mai di pormi (questo post è liberamente ispirato a quello di Paola, che trovate qui).

  • Perché quando carico i Bubini in macchina e finalmente mi siedo alla guida, non trovo più le chiavi, continuo a ripetermi “eppure le portiere le ho aperte” e dopo dieci minuti di ricerca furiosa mi accorgo che ci sono seduta sopra?
  • Perché quando porto via le salviettine umidificate da brava mamma previdente, al momento del bisogno mi accorgo che il contenitore è vuoto?
  • Perché quando mi lamento del fatto che ho perso diottrie, alla fine mi rendo conto che dovevo solo pulire gli occhiali dalle innumerevoli ditate del Bubino?
  • Perché ho le gambe costantemente piene di lividi di cui non ricordo assolutamente l’origine?
  • Perché ogni volta che mi concedo una serata libera, immancabilmente vengo punita con sfighe di vario genere, leggi influenze-dissenterie-notti in bianco? (questa è altresì chiamata la maledizione di montezuma del genitore, di cui disquisirò presto su questi schermi)
  • Perché all’interno della mia borsa il cellulare e le chiavi hanno vita propria e si scambiano di posto per ridere alle mie spalle, costringendomi a rovesciare l’intero contenuto per terra prima di riuscire a tirarli fuori?
  • Perché quando siamo al parco e qualche mamma tira fuori da mangiare per i sui figli, i Bubini ci si fiondano davanti con pietosi occhi affamati come se li avessi tenuti a pane e acqua per giorni?
  • Perché quando i Bubini si addormentano entrambi in macchina, il trucco di portarli a letto dormienti pregustando la serata relax non mi riesce mai, ma dico MAI?
  • Perché quando carico la spesa nel portabagagli e vedo accendersi la spia, mi ripeto “ma sì, è difettosa” e poi mi accorgo di aver guidato per chilometri con il portellone completamente aperto?
  • Perché quando prendo il caffé in ufficio cinque volte su dieci me lo dimentico e alla fine lo bevo freddo, tre volte su dieci me lo dimentico e lo urto con il gomito rovesciandone il contenuto tra le carte e le fessure della tastiera, una volta su dieci me lo dimentico direttamente sulla macchinetta e il collega dopo fa calare il suo bicchiere sul mio spargendone tutto il contenuto per terra?

Mi auguro che tra i miei lettori ci sia qualcun’altro che queste domande se le pone.

Quindi, se volete, continuate pure.

Ulisse

Prendo la parola anch’io, finalmente.

In mezzo a tutti questi familiari logorroici era ora che mi facessi sentire. Ho sedici mesi appena compiuti, ma ho anch’io le mie cose da dire, che vi credete?

Per esempio.

E’ ora di finirla con la tiritera che la Bubi è stata più veloce di me a parlare. Ok, alla mia età tirava fuori qualche frase di senso compiuto (n.d.a. le mitiche “bubi apo bum“=la Bubi è caduta dall’altalena e “nonno mie gurth“=il nonno mette il miele nello yogurt, sottointeso anche se la mamma non vorrebbe).

Ma io non sono da meno. Siete voi, esseri privi di fantasia, a non capirmi.

Come fate a non capire che “ma” vuol dire macchinina? E anche crema, mela, mano, martello, d’accordo. Ma sarà mica così difficile cogliere la pur sottile sfumatura intrinseca che differenzia ‘ste parole.

E “cca” cosa vuol dire? Dai, mica siete cerebrolesi. Acqua è ovvio. Anche cacca, certo. E cavallo. Ma considerate il contesto, perdio. Mica posso parlare di cacca a tavola indicando la bottiglia. Vi pare?

Altra cosa.

Finitela per favore  anche con la panzana del quanto-eri-buono-prima-adesso-sei-davvero-un-biricchino. La mia mamma c’ha un bel dire che non esistono innate differenze di genere, che maschi e femmine sono uguali, che sono i genitori a condizionarli, e bla e bla e bla.

Omo sono. Anche se in miniatura. Sono un intrepido avventuriero. Un esploratore senza macchia e senza paura. Un instancabile pioniere alla scoperta dei misteri del cosmo. E dei giardinetti.

Sono un Ulisse col ciuccio.

Due anni orsono

A pensarci fa un po’ impressione.

Quando la Bubi aveva gli stessi mesi del Bubino sono rimasta incinta di nuovo. E siccome l’abbiamo cercato e voluto, verrebbe da dire che un tantinello incoscienti lo siamo stati.

E’ stata dura non lo nego. Anzi, è ancora dura per tanti aspetti. La vita privata che non esiste. I tempi di coppia praticamente azzerati. Il vedere un film svaccati sul divano che diventa un lontanissimo miraggio. Un cinemino poi non ne parliamo. Una specie di chimera.

Però.

Quando si intrattengono da soli mentre guido. Lei che gli fa le facce buffe e lui che si scompiscia dalle risate. Lei che fa i versi degli animali e lui che risponde a tono. Lei che canta e lui che balla a ritmo muovendo il culetto nel seggiolino e agitando le mani.

Quando il Bubino si sveglia piangendo nel suo lettino e la Bubi accorre ancora prima di noi e gli sussurra: “Non ti preoccupare, Bubino, la mamma e il papà arrivano subito”.

Quando torniamo da scuola. E il Bubino le butta le braccia al collo. E tutti e due si stringono in un abbraccio portentoso che li fa il più delle volte ruzzolare per terra ridendo.

Quando siamo con altri bambini e magari uno di loro distrattamente strattona il Bubino. E la Bubi con occhi di ghiaccio, incurante delle dimensioni del soggetto, gli sibila: “Non toccare mio fratello, hai capito?!?”.

Quando mi preparo al primo della lunga serie di “vai a lavarti le mani che è pronto”. E poi li scopro insieme in bagno. Lei che si lava le mani da sola. Lui che la osserva. “Vedi come si fa, Bubino?”

Quando si ritrovano insieme nel lettone. Un lettone che poco prima dell’alba diventa puntualmente a quattro piazze. E il Bubino che si butta addosso alla Bubi. E la Bubi che nel dormiveglia se lo stringe vicino e dice “Vuoi le coccole, Bubino?”. E gli accarezza la testina. Dolcemente.

Che dire.

Son soddisfazioni.

Per il cinemino ci sarà tempo.

Illudersi mai

Non me ne sono mai vantata.

Dicevo che era buono, quello sì. Ma sempre con le mie brave corna su entrambe le mani. E aggiungevo anche un “per adesso”. Sempre.

E’ vero però. A volte l’ho spacciato per merito nostro. Eh, sai, l’esperienza con la prima figlia. Eh, sai, i secondi son sempre più buoni. Eh, sai, è tutto perché i genitori son più tranquilli.

Cazzate.

L’unica cosa vera è che questi esseri strani che chiamiamo bambini cambiano con una velocità disarmante. Quella che un attimo prima sembrava una routine consolidata viene travolta e calpestata dalla sera alla mattina. Quel che è peggio è che accade senza alcuna spiegazione plausibile.

Il Patato era – appunto – un Patato. Finché non ha iniziato a gattonare. E’ come se fosse esplosa una diga. La sua curiosità e il suo entusiasmo, prima contenuti dalle sue fattezze da neonato, sono tracimati. E’ fenomenale. Arriva dappertutto e prende qualsiasi cosa. Si appende. Si arrampica. Si allunga. A nemmeno 9 mesi gli riescono prodezze che la Bubi a un anno tentava a malapena.

Non sta mai fermo. Nè di giorno. N E’  D I N O T T E .

Ecco il punto. Ecco la trasformazione che temevo come la peste bubbonica. Ecco il crollo del castello di carte che mi ero costruita con i miei riti della nanna. Sai dove me li ficco adesso gli Estivill e i Tracy Hogg? Le provo tutte. Ripeto shhhhhh shhhh shhhhhhhh fino ad azzerarmi la salivazione. Insisto con il ciuccio anche se lui me lo lancia addosso. Mi carico in braccio i sui 11 chili e macino chilometri per casa. Ricorro anche alla cara vecchia Big, che imperterrita continua a produrre latte contro ogni previsione. Ma c’è un’unica cosa che il Patato vuole.

Giocare.

Alle 3 del mattino.

E alle 4.

E alle 5.

Momenti di assoluto godimento

In genere durano poco. Ma la felicità di mamma Giulia viene anche da questi piccoli lussi quotidiani.

Intanto, finché sono in maternità, possiamo svegliarci con calma. E concederci il piacere assoluto di una buona mezz’ora di cocccole nel lettone prima di cominciare la giornata. La Bubi che abbraccia il Patato. Lui che la ricambia con i suoi adorabili gorgheggi. Io che li divoro entrambi di baci, gli faccio il solletico, li spatacchio.

Se qualche nonno è tanto gentile da guardare il Patato, il riposino del pomeriggio io e la Bubi lo facciamo nel lettone. Me ne frego delle regole. Dormire con il proprio bimbo è un godimento troppo grande per non concederselo mai. E pazienza se prima di crollare la Bubi si trasforma in un lottatore di wrestling. Sopravvivo ai calci e ai pugni, solo per godermi il piacere del suo corpo che piano piano si rilassa, si abbandona. E poi la osservo addormentata. La sua pelle di porcellana, la sua bocca a cuore, le sue lunghe gambe rannicchiate. E le manine unite sotto la guancia, l’archetipo dell’angelo che dorme.

La sera è il momento del massaggio al Patato. Beatitudine estrema. Affondo le mani e la faccia nella sua morbida ciccia. Aspiro a pieni polmoni il suo odorino da neonato. Gli spernacchio il pancino. E lui che si lascia viziare, contento di questo (raro) momento solo con la mamma. Mi ringrazia con urletti di gioia, la bocca aperta, gli occhi espressivi che ridono felici.

Mia madre ogni volta mi assilla: “Fotografa! Riprendi!”. Forse ha ragione lei.

Ma che volete. Preferisco registrare con la mente questi istanti, sperando di riuscire a tirarli fuori nei momenti bui.