Da grandi

“Da grande io sarò veterinaria.”

“Certo, Bubi, lo dici sempre.”

“Quando il dottore non c’è, ci sarò io a curare gli animali. Però quando c’è, me ne starò a casa con la mia bambina.”

“Ah, dai. Avrai una bambina. E come si chiamerà?”

“Margherita. E io mi chiamerò Stella.”

“Avrai anche un bambino?”

“Certo. Filippo.”

“Bei nomi. E tu, Bubino? Cosa vuoi fare da grande?”

“Il Grande.”

Non avrà la logorrea di sua sorella, ma quanto a idee chiare il Bubino non ha rivali.

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Scoperta

 Tre settimane fa.

“Giulia, sei a pezzi. Hai l’umore più nero delle vendite a Cortina, ti incazzi per ogni piuma che cade, non hai mai tempo per te, la tua igiene personale fa schifo, non parliamo della depilatio, son giorni che non riusciamo nemmeno a parlare insieme. Quindi ho preso una decisione. Da oggi faremo una sera io e una sera tu. Oggi tocca a me. Metto a letto io i Bubini.”

La prime due sere ho fatto finta di andarmene di casa. Mi sono nascosta in lavanderia per non farmi sentire. Al buio. E anche piuttosto al freddo.

Dopo le reazioni inconsulte del Papais e del mio intestino (non contemporaneamente), ho deciso che era ora di finirla con i sotterfugi. La Bubi doveva accettare la cosa e basta. [n.d.a. Per il Bubino il problema non si è mai posto. Lui si mette nel suo letto e dorme, incurante di chi ce lo abbia messo].

La prima volta la Bubi ha piantato un dramma che neanche Eleonora Duse. Io ho tenuto duro. Solo perché il Papais mi ha minacciato di una morte lunga e dolorosa se avessi ceduto. La seconda sera ha frignato senza urlare e mi ha chiesto di rimanere con lei solo finché finiva il latte. E poi basta.

Ora la routine è diventata questa. Una sera il papà, una sera la mamma. Liscio come l’olio.

Tre settimane fa.

“Giulia, Bubino oggi ha chiesto di restare senza pannolino. Domani ricordati di portare al nido tre paia di mutandine e tre paia di pantaloni di ricambio.”

“Cosa? Come? Dove? Ma non c’è scritto in tutti i libri che lo spannolinamento si fa in estate? Ma io non sono pronta, non ho comprato niente, a casa ho solo body, non ho canottiere, non ho magliette, e non posso mica mettergli gli slip di sua sorella, quelli con i Barbapapà sono anche carini, ma quelli di Bambi, no, eh? Che poi io sono per crescerli senza preconcetti maschio/femmina, ma questo mi sembra troppo…”

“Giulia, stai tranquilla. Possiamo cominciare anche lunedì.”

Mi aspettavo una lunga maratona tra pozzanghere e rifiuti (vedi qualche mio post di ormai 2 anni orsono qui e qui).

E invece il Bubino sta ormai asciutto tutta la mattina. E gran parte del pomeriggio. E -udite udite-anche di notte. Con la cacca siamo ancora in rodaggio. Quel canederlo marrone gli suscita ancora una certa curiosità ed è più bello ammirarlo che farlo tuffare nel water. In ogni caso, vedermi quel nano girare per casa con le mutandine nere e la maglietta grigia, gli stessi colori del Papais, mi fa saltare il cuore.

E sono rimasta elettrizzata da questa scoperta.

I problemi riescono a risolversi senza che io faccia fondamentalmente un cazzo.

Sorella maggiore

 Quando accompagni il Bubino al nido, lo saluti abbracciandolo forte.

“Lo so che non è facile, Bubino, però adesso vai. Ti aspetta la maestra.”

Lui ti guarda.

Adorante. Fiducioso.

Ti risponde quieto: “Sì, Bubi.”

E va.

Tra lo sguardo incredulo della maestra Patrizia e quello compiaciuto del Papais.

Quando il Bubino è ammalato, riusciamo a fargli prendere le medicine solo con il tuo indispensabile aiuto.

“Mmmmm, che buono, mamma, dallo a me lo sciroppo”, menti tu, convincente.

“Noooo, è mio, è mio!”, scatta il Bubino all’istante.

Stesso giochino quando il Bubino pianta il canonico capriccio perché non vuole vestirsi.

“Bella quella maglietta, me la metto io”, parti tu, senza che nessuno te lo chieda.

Sei di una persuasione micidiale.

Risultato garantito in cinque secondi netti.

L’altro giorno, al parco. Approfittiamo del primo tepore dopo mesi per due scivolate.

Peccato che la cima del castello sia presidiata da un’indisponente treenne, che approccia il Bubino con un: “Tu sei piccolo, non puoi salire”.

L’incauta non ha fatto i conti te, Bubi.

“Bubino, vieni qua, gioco io con te”, lo rassicuri tu.

E poi subito, feroce, rivolta all’asociale reginetta del castello: “Lo scivolo è di tutti. Guarda che chiamo subito il mio papà e vedrai cosa ti fa.”

Il Bubino non conosce ancora i colori. Fa una gran confusione soprattutto tra verde e blu. Ma quello che per me resta un mistero è che quando glieli chiedi tu, sgranando le perline della tua collana di cuori, non ne sbaglia uno.

Forse il tuo “bravo” ha un altro valore per lui rispetto al nostro.

Eravamo in macchina ieri sera.

Solo io e te, direzione nido.

“Mamma, ti devo dire una cosa molto seria.”

“Dimmi, amore.”

Quando parti così ci si può aspettare di tutto.

“E’ bello essere in due, sai?”

“In che senso?”

“In due piccoli. Due fratelli in famiglia. E’ bello avere un fratello.”

La curva della mia autostima ha subito una vertiginosa e istantanea impennata. Abbiamo fatto un bel lavoro. Proprio un bel lavoro.

Solo che dopo hai proseguito.

“Sarebbe bello anche in tre, che ne dici?”

Felicità

La Bubi, bacchetta magica in mano, cerchietto con i brillantini e sorriso malizioso: “Mamma, oggi sono la fatina della felicità. Porto felicità a chi è arrabbiato e a chi è triste.”

Io: “Fantastico, Bubi, falla a me la magia.”

La Bubi: “A te no, mamma. Tu non ne hai bisogno. Sei sempre felice.”

Pensavo di apparire grigia, sciatta, triste, abbruttita da un lavoro di merda e dalle crisi premestruali.

E invece no.

Estiquaatsi.

Sono una persona felice.

Ed è questo che trasmetto anche all’esterno. O perlomeno ai miei Bubini.

La mamma è felice.

Punto.

Solo che ci voleva la mia fatina a ricordarmelo.

C’è tempo

Sei appena entrato nei “terrible two”.

C’è ancora tempo per il capriccio ribelle, i bracci di forza, le camicie di forza.

C’è tempo, Bubino.

Tu, che i due anni li hai compiuti appena ieri. E hai festeggiato con la camicia a righe come un ometto grande.

Tu, che ti fidi del mondo e salti in braccio a chiunque ti allarghi le braccia (tanto poi ci pensa la Bubi a riportarti all’ordine, che se le toccano suo fratello con lei c’è poco da scherzare).

Tu, che all’asilo sei soprannominato “orsetto”, perché gli altri bambini quando hanno bisogno di coccole frignano. Invece tu ti avvicini zitto zitto, ti siedi in braccio girando il culetto, ti abbandoni molle molle con la testina appoggiata alla spalla della maestra. A quel punto diventa matematico farti una carezza.

Tu, che hai appetito perfino con la febbre a quaranta. Che mangi da solo da più di un anno. Che adori i piselli e di diverti a scovare i fagioloni nella zuppa del nonno. Nel tabellone dell’asilo trovo sempre una fila di “sì”: spazzolata frutta del mattino, spazzolati primo e secondo, spazzolata merenda. Qualche volta, caso unico di tutta la scuola, le maestre scrivono “tanto”. L’aumento della retta arriverà, prima o poi.

Tu, che canti “il pulcino ballerino” e “coniglietto zinzunzan” con quella vocetta dolce dei bambini piccoli. E con la stessa vocetta annunci “scoresa!”. Ed è impossibile non mangiarti di baci. Nonostante la puzza.

Tu, che se ti svegli al mattino e senti che la Bubi è già in piedi, dici “un momento”. Corri ad abbracciarla e poi torni nel lettone a prenderti le coccole.

Tu, che stringi i muscoletti per far sentire quanto sei forte. Stiamo cercando disperatamente di farti capire che non è divertente massacrare l’altrui guancia con le unghie o con i denti. Il problema è che subito dopo tu abbracci il malcapitato, gli molli un bacio umidiccio sussurrando “’cusa”. E il malcapitato in questione, pur sanguinante, non può far altro che crollare.

Tu, che sei cresciuto senza drammi e senza problemi. Un bambino da manuale.

Averti come primogenito ci avrebbe largamente ingannati sulla natura bambinesca.

Ma visto che sei nato per secondo, ora siamo preparati e corazzati.

Ma c’è ancora tempo, Bubino.

Credimi.

Ghe la femo

Quando si svegliano così, sonnacchiosi ma non lamentosi.

E la Bubi mi racconta tutta gasata del suo sogno “stranissimo”.

In cui un bambino si ficcava la lingua nel naso e non riusciva più a toglierla. E allora arrivavano due topolini per aiutarlo. E poi si ficcava la testa nel collo. E i topolini lo aiutavano anche lì. E poi gli cadevano gli occhi e si sporcavano. E i topolini glieli lavavano e glieli rimettevano a posto. (E’ un po’ splatter mia figlia).

“Ma tu dov’eri?”

“Ero dentro il sogno, no? Ero lì che lo guardavo e ridevo. Che poi, mamma, la cosa bella dei sogni è che se ti svegli un momento, poi ti riaddormenti e ricomincia di nuovo.”

E il Bubino che l’ascolta senza perdere una parola. Ridacchiando anche lui sotto i baffi sporchi di latte. Rigorosamente freddo di frigo, perché a lui piace così. E poi si divora la sua focaccia, non prima però di averla minuziosamente riempita di buchi con il ditino.

“Fasso gli occhietti, mamma!”

E poi via, chi a scuola, chi al nido, chi al lavoro.

Non ci vedremo per un bel po’ di ore.

Ma è bello ritrovarsi a casa la sera.

Accendiamo le luci dell’albero e poi ci ficchiamo un po’ sotto le coperte a raccontare barzellette di cacca e pipì. E anche di muco, perché al Bubino la sola parola “muco” lo fa sganasciare.

E poi giochiamo ai gattini e io sono la mamma gatta o la padroncina che li cura. Che poi il gioco è solo un modo per farsi fare ancora più coccole. Perché quando fanno “miao miao” camminando a quattro zampe me li mangerei.

Oppure facciamo i vari passi su e giù per il salotto. Quello della rana, quello dell’elefante, quello della giraffa, quello del coniglio. La Bubi agilissima. Il Bubino che le arranca dietro ridendo come un matto.

Più tardi, quando è ora di andare di sopra, prima che scoppino le crisi varie ed eventuali. Scendo giù a preparare il latte e risalgo di soppiatto. Perché la Bubi sta leggendo al Bubino. E’ bravissima, non sbaglia una riga. E poi fa ripetere le paroline al Bubino. E lo incita, gli dice “bravo, Bubino!”.

Da piangere.

In momenti come questi credo di potercela fare davvero.

E perché non dovrei, scusa?!?

Re: Quando dormire è un problema

Cara Bubi,

mi hai fatto commuovere con la tua letterina. Ovvio che sai toccare le corde giuste, nonostante tu abbia solo quattro anni.

Ma permettimi anche uno sfogo.

Tutto il tuo bisogno di mamma è una sincera rottura di cogl  fatica per me.

La tua mamma, sappilo, di fondo sarebbe una madre modello. Di quelle che non usano mai il “no” perché è diseducativo. Di quelle che cercano la mediazione, il convincimento, l’ascolto attivo. Tua madre si bea leggendo le testimonianze della Leche League. Si identifica in quelle mamme calme, attente, premurose. Le piacciono da morire. Tua madre compra libri dai titoli assurdi tipo “crescere in armonia”, “ascolta il tuo bambino”, “essere assertivi”. Magari li lascia vegetare sul portariviste del bagno. Ma a volte li sfoglia convinta, vagheggiando sul come metterli in pratica.

E’ che poi la tua mamma si scontra con la realtà. Da quando non ho più l’agognato part-time le mie giornate sono piuttosto pesanti. Lo vedi su di me, sulle mie occhiaie, sulla mia faccia che sta invecchiando così velocemente. Ma soprattutto sulla mia pazienza che non è più quella di una volta. La tua mamma ne ha spesso i cogl.. pieni abbastanza dei vostri litigi, dei vostri capricci, del non sapere cosa farvi per cena perché qualsiasi cosa la rifiuterete schifati.

Alla fine di una giornata di merda pesante la tua mamma vorrebbe accoccolarsi in braccio al Papais e fare sesso guardare un film sorseggiando una tisana.

Chiedo troppo?

Ci sono genitori che fin dall’inizio impostano la loro vita sul “loro devono adattarsi a noi, non noi a loro”. E quindi vanno di “Fate la nanna”, regole ferree, messa a letto alle otto, divieto del lettone e robe simili. Li ascolto estasiata. Mi sembrano bravissimi. Tutto sembra funzionare a meraviglia.

Mamma e Papais ci hanno provato.

Come avrai capito i tuoi genitori di certezze non ne hanno nessuna e quindi hanno pescato un po’ di là e un po’ di qua. Hanno provato un po’ di carota e un po’ di bastone. Ti hanno lasciata piangere sul lettino quando avevi appena un anno e dormivi solo in braccio (…ah, che periodo, finivo per dormire seduta sul letto con te in braccio, perché appena ti posavo strillavi…). Salvo poi riaccoglierti nel lettone durante le tue (innumerevoli) malattie.

Colpa nostra, lo ammetto. Non abbiamo saputo darti una routine sempre uguale. Da utilizzare sempre, cascasse il mondo. La nascita del Bubino ha scombussolato tutto, ovviamente. Perché ce ne vuole a lasciar piangere la grande nel suo letto mentre accanto c’è il piccolo che si sveglia per ogni stracazzo di bava di vento (vale anche il contrario, eh?).

Insomma ci siamo arrabattati a cercare ogni volta la soluzione migliore.

Certe volte ci siamo illusi di averla trovata. Ha funzionato per un po’. Poi ha smesso di funzionare.

Siamo ancora alla ricerca.

In questi giorni hai la febbre e uno strano virus gomitone che ti ha ricoperta di macchie in viso. La sera mi guardi speranzosa e mi chiedi: “Sono malata, mamma?”. E anche se sai già la risposta, fai lo stesso la tua domanda, con quella irresistibile luce negli occhi: “Allora posso dormire con te?”.

Ovvio che sì, Bubi.

E ovvio che anche se ti passerà la febbre, non mi sognerò mai di riportarti nel lettone quando arriverai in piena notte. Questo perché di fondo ho sonno e non voglio rischiare di svegliare il Bubino con le tue urla disumane sono una mamma assertiva come quelle di cui sopra.

Però troviamolo un compromesso, Bubi.

Cerchiamolo insieme.

Devi capire anche me e che cazzo.

Quando dormire è un problema

Cara mamma,

sai che quando ti scrivo io in genere sta arrivando il predicozzo. Non ti lamentare, dai, che non ti scrivo così spesso.

Siete orgogliosi di me e lo so. Perché son diventata molto autonoma (questa è la parola che usano le maestre). Mi so mettere le scarpe, i calzini, le braghe, la maglia e la felpa. Tutto da sola. Anche il giubbotto. Datemi il mio tempo. Se vi offrite di aiutarmi divento una iena. Voi avete più di trent’anni di esperienza in giubbottologia. Ecchecavolo. Sarà mica un problema se a me ci vogliono cinque minuti invece di uno.

Da qualche giorno mi faccio anche il bidet da sola. Ho sbigottito la mamma, che ha imparato quasi all’alba della pubertà. Ho sbigottito il papà, che non vi svelerò quando ha imparato per pura decenza.

So scrivere il mio nome. Posso scriverlo grande, piccolo e anche medio. Come mi gira. Ma sono sempre molto precisa. Che a me le cose approssimative non mi piacciono.

Però non mi addormento da sola.

O meglio.

Lo faccio a scuola. Quando ho tutte le mie amiche e i miei amici vicino. Che abbiamo fatto una bella banda in classe, eh? Mi diverto un sacco. Quando abbiamo finito di giocare e le mastre gridano “si riordina!”, ce ne andiamo per manina in dormitorio. A destra ho la Sara e a sinistra ho la Serena. Più dietro ci sono Alessandro, Isacco e Davide. Ci sono anche i piccoli, che ogni tanto frignano un po’. Ma io metto la testa sul cuscino e in due secondi mi addormento. Non sento nemmeno la fine del racconto della maestra.

A casa è tutta un’altra storia.

Non la sento proprio, la stanchezza.

Chiediti perché, mamma.

Non ti vedo tutto il giorno.

Mi vieni a prendere alle 16,20 con gli occhi stanchi e la pelle tra il grigio e il verde. Corriamo al nido dal Bubino, perché vuoi a tutti i costi essere lì entro le 16,30 perché sennò rimane l’ultimo di tutta la scuola. Non ce la fai mai. Poi magari c’è la spesa da fare, i vestiti da sistemare, i letti da rifare, la cena da imbastire. Mi piazzi davanti ad un cartone e pretendi che stia lì. I cartoni mi piacciono. Ma mi piace di più stare con te.

E poi c’è il Bubino che mi mena perché è stanco anche lui. Qualche volta ce la facciamo a giocare insieme. Ma non è facile, lo sai. E’ che lui non capisce che deve giocare come dico io. Esattamente come dico io.

La sera ho bisogno di te.

Della tua presenza.

Se siamo nel lettone è molto meglio. Ti abbraccio il braccio e mi addormento veloce.

Nel mio lettino ci metto un sacco. Ma taaaaaaaaaaaaaaanto.

C’hai provato tante volte ad andartene via. A dirmi “la mamma va giù, fai le nanne”. Ma io proprio non ce la faccio. Ho bisogno di te. Vicina.

Ti raggomitoli sulla sedia e aspetti.

Aspetti che mi venga sonno.

Mentre il Papais è giù che sistema la cucina e poi si guarda Ballarò. Che vorrebbe tanto vederlo insieme a te. Ma quando tu finalmente arrivi hai la faccia di Cher senza trucco e senza chirurgia plastica. E il Papais pietosamente ti dice: “vai a letto, che fai spavento”.

E tu vai a letto. E dopo un po’ di ore arrivo anch’io. Perché sul mio lettino non riesco mai a fare una dormita filata. Mai. Me ne esco a nel cuore della notte, incurante del freddo e del buio pesto. Raggiungo il lettone e mi ci infilo. Tié.

Ho bisogno di te, mamma.

E le poche sere che non ci sei, preferisco aspettarti fino alle undici piuttosto che addormentarmi senza di te. E l’ultima notte che mi hai lasciato dai nonni me la ricordo ancora, perché proprio non ci volevo stare.

Non ti lamentare sempre, mamma.

Non so quanto durerà. Forse ancora per poco.

Ma concedimelo, mamma.

Di avere ancora bisogno di te.

Che dice il signor Camillo?

Immagino e mi auspico che la blogsfera tutta si infiammerà a dovere su questo articolo del mio giornale “preferito”, Libero. E spero non vi stufiate a sentirne ancora da me, soprattutto senza un’adeguata serie di link a proposito. Scusate, son mamma, non ho tempo.

E’ che questo signor Camillo, mi ha fatto veramente incazzare.

Se sapessi dove abita avrei la seria tentazione di rigargli la macchina, sgonfiargli le gomme, sedermi sul cofano della sua auto con tutto il mio peso di bismamma. Ma siccome sono una persona civile e beneducata, e soprattutto siccome non so dove abita, mi limiterò ad una serie di domande.

Perché un giornale nazionale spreca inchiostro per queste tesi da retrogradi?

Perché un signor Camillo qualsiasi ha la faccia tosta di pubblicare un’aberrazione del genere?

Perché la sua rubrica si chiama “libero pensiero” e non “pensiero medievale”?

Lo sapete perché?

Perché questa tesi è sostenuta. Da una buona parte della nostra povera Italia.

Perché è a questo che sta portando tutto lo sgretolamento dei servizi per la prima infanzia e per le mamme. A togliere le donne dai posti di comando. A riportarle dentro casa. Fuori dall’Università. Fuori dai posti di lavoro che contano. Fuori dalle stanze dei bottoni.

Se fate figli, siete fuori.

Ma se non fate figli, siete fuori lo stesso.

Perché tanto non contate un cazzo.

Meno male che c’è chi si incazza sul serio, ai piani alti. Come la ministra Fornero contro la rappresentanza del forum dei giovani arrivata ieri. Non c’era nessuna ragazza tra loro. E lei gli ha fatto una capa tanta.

“Questo è un atteggiamento culturalmente sbagliato, che non porta da nessuna parte”, ha dichiarato.

Ecco.

Adesso scatenatevi.

Per favore.

Se la classe non è acqua

“Giulia, guarda, ti ho preso gli orari. Lunedì e venerdì 20,15 – 22,00.”

“Ehm… sì, grazie.”

“Venerdì mi sembra il giorno giusto, saranno tutti fuori a bere aperitivi, potresti perfino beccarti la corsia libera, tutta per te.”

“Mmmmh, sì.”

 

Una settimana dopo.

 

“Allora, stasera a che ora torni?”

“Ehm… amore, ascolta, mi sento uno straccio stasera. E’ stata una settimana di merda, giusto per dirla in francese. E poi… coff, coff, senti che tosse. Con il freddo che c’è non ho davvero voglia di uscire.”

“Guarda, non ti sto neanche a sentire. Se hai bisogno di qualcuno che ti compatisca, che ti dica poverina, come sei sfruttata e malpagata, che mondo crudele, che vita infame, che paese ingrato, governo ladro, allora quello non sono io. Muovi quel culo, preparati la borsa e vai in piscina. Se vuoi continuare a lamentarti non farlo con me.”

 

Mamma Giulia, lemme lemme, ha cercato cuffia e occhialini, rimosso le ragnatele e riposto tutto docilmente nel borsone.

Dopo i primi 100 metri le sembrava di smuovere due pale da mulino al posto delle braccia e due tronchi di quercia secolare al posto delle gambe. Le sembrava davvero di non potercela fare. Ma i quattro euro e cinquanta pagati per l’ingresso pesavano sulle sue smilze tasche friulane. E quindi ha tenuto duro.

Dopo i primi 500 metri è iniziato il cambiamento. Si è resa conto che lo stile non è acqua. Soprattutto se è stile libero.

Dopo i secondi 500 metri ha sfidato se stessa in un 4×25 delfino. A momenti la ripescava il bagnino dal fondo vasca. Ma ringalluzzita dall’impresa, ha insistito con un 3×200 gambe.

E mentre superava i 2000 e si concedeva l’ultimo 200 sciolto, fiera e gagliarda come da tempo non si sentiva, abbandonata e rilassata in tutto quell’azzurro, il colore delle piscine di tutto il mondo, che l’ha accompagnata da quand’era piccina, ma che fino a ieri le ricordava solo un esperimento politico dagli esiti infausti.

In quel preciso momento Mamma Giulia ha realizzato finalmente che la lamentela non porta da nessuna parte. Soprattutto quando godiamo di questa gran fortuna.

Se in Italia abbiamo Napolitano e Monti, in Mondo Bubino c’è il Papais.