La difficile arte dello sdrammatizzo

“Oggi la Vale si è arrabbiata.”

“Perché?”

“L’avevo spinta. Ma per sbaglio, eh? Gliel’ho detto che non avevo fatto apposta, ma lei continuava a piangere.”

“E allora?”

“Allora le ho raccontato dei piedi del Papais che puzzano. E le è passata.”

Risolvere i conflitti facendoci sopra una risata. Ottima tecnica. La Bubi la applica anche con il Bubino, a volte.

Se lui se la prende per una cosa, si mette a saltellare davanti a lui come un folletto facendo facce buffe. Impossibile resistere. E infatti il Bubino ride e tutto finisce lì.

Peccato che abbiamo dei pessimi esempi di barzellettieri in politica. Perché forse lo sdrammatizzo sarebbe un ottimo metodo anche per gli adulti.

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Scoperta

 Tre settimane fa.

“Giulia, sei a pezzi. Hai l’umore più nero delle vendite a Cortina, ti incazzi per ogni piuma che cade, non hai mai tempo per te, la tua igiene personale fa schifo, non parliamo della depilatio, son giorni che non riusciamo nemmeno a parlare insieme. Quindi ho preso una decisione. Da oggi faremo una sera io e una sera tu. Oggi tocca a me. Metto a letto io i Bubini.”

La prime due sere ho fatto finta di andarmene di casa. Mi sono nascosta in lavanderia per non farmi sentire. Al buio. E anche piuttosto al freddo.

Dopo le reazioni inconsulte del Papais e del mio intestino (non contemporaneamente), ho deciso che era ora di finirla con i sotterfugi. La Bubi doveva accettare la cosa e basta. [n.d.a. Per il Bubino il problema non si è mai posto. Lui si mette nel suo letto e dorme, incurante di chi ce lo abbia messo].

La prima volta la Bubi ha piantato un dramma che neanche Eleonora Duse. Io ho tenuto duro. Solo perché il Papais mi ha minacciato di una morte lunga e dolorosa se avessi ceduto. La seconda sera ha frignato senza urlare e mi ha chiesto di rimanere con lei solo finché finiva il latte. E poi basta.

Ora la routine è diventata questa. Una sera il papà, una sera la mamma. Liscio come l’olio.

Tre settimane fa.

“Giulia, Bubino oggi ha chiesto di restare senza pannolino. Domani ricordati di portare al nido tre paia di mutandine e tre paia di pantaloni di ricambio.”

“Cosa? Come? Dove? Ma non c’è scritto in tutti i libri che lo spannolinamento si fa in estate? Ma io non sono pronta, non ho comprato niente, a casa ho solo body, non ho canottiere, non ho magliette, e non posso mica mettergli gli slip di sua sorella, quelli con i Barbapapà sono anche carini, ma quelli di Bambi, no, eh? Che poi io sono per crescerli senza preconcetti maschio/femmina, ma questo mi sembra troppo…”

“Giulia, stai tranquilla. Possiamo cominciare anche lunedì.”

Mi aspettavo una lunga maratona tra pozzanghere e rifiuti (vedi qualche mio post di ormai 2 anni orsono qui e qui).

E invece il Bubino sta ormai asciutto tutta la mattina. E gran parte del pomeriggio. E -udite udite-anche di notte. Con la cacca siamo ancora in rodaggio. Quel canederlo marrone gli suscita ancora una certa curiosità ed è più bello ammirarlo che farlo tuffare nel water. In ogni caso, vedermi quel nano girare per casa con le mutandine nere e la maglietta grigia, gli stessi colori del Papais, mi fa saltare il cuore.

E sono rimasta elettrizzata da questa scoperta.

I problemi riescono a risolversi senza che io faccia fondamentalmente un cazzo.

Sorella maggiore

 Quando accompagni il Bubino al nido, lo saluti abbracciandolo forte.

“Lo so che non è facile, Bubino, però adesso vai. Ti aspetta la maestra.”

Lui ti guarda.

Adorante. Fiducioso.

Ti risponde quieto: “Sì, Bubi.”

E va.

Tra lo sguardo incredulo della maestra Patrizia e quello compiaciuto del Papais.

Quando il Bubino è ammalato, riusciamo a fargli prendere le medicine solo con il tuo indispensabile aiuto.

“Mmmmm, che buono, mamma, dallo a me lo sciroppo”, menti tu, convincente.

“Noooo, è mio, è mio!”, scatta il Bubino all’istante.

Stesso giochino quando il Bubino pianta il canonico capriccio perché non vuole vestirsi.

“Bella quella maglietta, me la metto io”, parti tu, senza che nessuno te lo chieda.

Sei di una persuasione micidiale.

Risultato garantito in cinque secondi netti.

L’altro giorno, al parco. Approfittiamo del primo tepore dopo mesi per due scivolate.

Peccato che la cima del castello sia presidiata da un’indisponente treenne, che approccia il Bubino con un: “Tu sei piccolo, non puoi salire”.

L’incauta non ha fatto i conti te, Bubi.

“Bubino, vieni qua, gioco io con te”, lo rassicuri tu.

E poi subito, feroce, rivolta all’asociale reginetta del castello: “Lo scivolo è di tutti. Guarda che chiamo subito il mio papà e vedrai cosa ti fa.”

Il Bubino non conosce ancora i colori. Fa una gran confusione soprattutto tra verde e blu. Ma quello che per me resta un mistero è che quando glieli chiedi tu, sgranando le perline della tua collana di cuori, non ne sbaglia uno.

Forse il tuo “bravo” ha un altro valore per lui rispetto al nostro.

Eravamo in macchina ieri sera.

Solo io e te, direzione nido.

“Mamma, ti devo dire una cosa molto seria.”

“Dimmi, amore.”

Quando parti così ci si può aspettare di tutto.

“E’ bello essere in due, sai?”

“In che senso?”

“In due piccoli. Due fratelli in famiglia. E’ bello avere un fratello.”

La curva della mia autostima ha subito una vertiginosa e istantanea impennata. Abbiamo fatto un bel lavoro. Proprio un bel lavoro.

Solo che dopo hai proseguito.

“Sarebbe bello anche in tre, che ne dici?”

Felicità

La Bubi, bacchetta magica in mano, cerchietto con i brillantini e sorriso malizioso: “Mamma, oggi sono la fatina della felicità. Porto felicità a chi è arrabbiato e a chi è triste.”

Io: “Fantastico, Bubi, falla a me la magia.”

La Bubi: “A te no, mamma. Tu non ne hai bisogno. Sei sempre felice.”

Pensavo di apparire grigia, sciatta, triste, abbruttita da un lavoro di merda e dalle crisi premestruali.

E invece no.

Estiquaatsi.

Sono una persona felice.

Ed è questo che trasmetto anche all’esterno. O perlomeno ai miei Bubini.

La mamma è felice.

Punto.

Solo che ci voleva la mia fatina a ricordarmelo.

Inserimento

E’ passata una settimana da quando ho iniziato il nido.

Tassativo non dimenticarsi coniglietto e ciuccetto. Anche se non mi sono sembrati affatto indispensabili come credevo.

Il posto mi piace. Belle le aule, ampie e luminose. Bello il salone, con gli angoli raccolti, quello delle costruzioni, quello dei libri, e quello dove fare i matti, su e giù per le scalette. Bello il giardino, con la vasca di sabbia piena di ruspe e scavatori, le altalene per piccoli, lo scivolo, la casetta dove nascondersi, i tricicli rossi, e, la più ambita in assoluto, la macchinetta che si spinge con i piedi.

Ho conosciuto i compagni. Andrea, che il secondo giorno si è fatto un labbro gonfio e sanguinante e si faceva coccolare da chiunque. Leonardo, che secondo le maestre è un gran chiacchierone ma finché c’erano le mamme degli altri in aula non ha aperto bocca. Federico, detto “il lanciatore”, che sta insegnato a tutti la difficile arte di scagliare giocattoli schivando le teste dei compagni. Melissa, già moccolosa alla seconda settimana di nido. E poi gli altri bimbi in inserimento. Mathias, con la sua mamma romena, giovane e bella. Francesca, che fin dal primo giorno ha fatto capire con i suoi “MIIIIIIIIIOOOOOO” che con lei non c’è tanto da scherzare.

Ho conosciuto la maestra Patrizia. Più di vent’anni di esperienza al nido. Più calma e giocosa di Mary Poppins.

La cucina poi è ottima. Alle undici in salone si propaga un profumino mica male. C’è un cuoco con i capelli bianchi, che ogni tanto esce a scherzare con i bambini e arriva la mattina sgommando a cavallo di una moto.

L’inserimento di Mamma Giulia al nido sta andando discretamente.

Non ho mai pianto.

Salvo quando ti ho visto mangiare da solo, seduto sulla seggiolina bassa, come se fosse stato il tuo posto da sempre. Hai pulito il piatto senza lasciare una briciola. Senza nemmeno sporcarti.

E quando ti ho visto prendere tranquillamente la mano della maestra Patrizia che ti accompagnava a cambiare il pannolino.

E quando Patrizia mi ha raccontato che a pranzo hai consolato Melissa, accarezzandole il braccio e sussurrandole: “No piange, tonna subito”.

E anche quando Patrizia mi ha detto: “Hai un bambino dolcissimo, un vero coccolone. E si vede proprio che è un bimbo sereno. Proprio come dicevate voi”.

Ecco, sì, devo ammetterlo, lì il groppo in gola è diventato pesante e la lacrimuccia mi è scesa. Ma sono solo pochi episodi.

Per il resto, Bubino, me la sto cavando alla grande.

Puoi essere orgoglioso di me.

Svolta estiva

Come sopravvivere ad una vacanza con i Bubini e riuscire perfino a divertirsi.

Chiara come un capello ossigenato. Semplice come una pasta al burro. Evidente come un appunto segnato su un post-it fosforescente.

Ecco che LA soluzione mi è apparsa come in trance durante queste vacanze.

Sono loro che devono divertirsi in vacanza. Se loro sono sereni e felici e rilassati tutto il resto viene di conseguenza.

Perfettamente inutile, se non deleterio, pensare al nostro divertimento, se si va in ferie con i figli. Noi abbiamo ridimensionato drasticamente le aspettative. No libri, no giornali, no svacco in panciolle, no mercatini, shopping, concerti, passeggiate senza meta.

Niet.

Ci siamo focalizzati solo su di loro, organizzando le giornate cercando tutto quanto potesse essere di loro gradimento. Fattorie didattiche. Laboratori artistici. Gite in mountain-bike. Parchi gioco. Spettacoli di marionette.

Siamo diventati esausti automi schiavizzati?

Eh, no, cari miei.

Complice una zona ricchissima di iniziative per le famiglie (non per far pubblicità, ma proprio per farne tanta, sto parlando della Val di Fassa, in Trentino. Andateci e capirete).

Complici giornate lunghe e piene di sole.

Complice la nostra complicità, tra me e il Papais, che in realtà non abbiamo mai perso, ma forse solo un po’ sotterrato tra lo stress degli ultimi mesi. Una complicità che ci ha portato ad applicare tacitamente e senza fatica la regola dell’ora d’aria [n.d.a. La regola va letta così: mamma e papà hanno diritto, a turno, durante la giornata, ad un momento libero dai Bubini, da impiegare a piacimento. Importantissimo: mai rinfacciare il tempo effettivamente impiegato o il tipo di relax scelto, del genere “io ho letto il giornale mezz’ora, mentre tu ti sei fatto/a un’ora e mezza di sauna, bastardo/a!”].

Insomma, ci siamo ritrovati come per magia tutti e quattro rilassati, felici e vacanzieri come mai prima d’ora.

E, lasciatemelo dire, totalmente e ciecamente innamorati gli uni degli altri.

Il Bubino della Bubi.

La Bubi del Bubino.

La mamma del Papais.

Il Papais della mamma.

Mamma&Papais dei nostri splendidi Bubini. Meravigliosamente buoni. Abbronzati e belli. Socievoli e divertenti.

I Bubini di Mamma&Papais. Finalmente concentrati davvero su di loro. Senza ansie multitasking. Spensierati e srorologiati.

Fossimo sempre in vacanza saremmo davvero la Famiglia Cuore.

Peccato che per il resto dell’anno si finisca per starci amichevolmente sui maroni a vicenda.

I Bubini vanno in piscina

Forse qualcuno ricorderà di quando un anno orsono raccontavo del mio totale insuccesso nel trasferire alla Bubi il mio amore per l’acqua (se volete, il post lo trovate qui).

Non paga del fallimento di allora, la mia testardaggine unita alla solita dose di masochismo mi ha portato a investire tutti i sabati degli ultimi mesi in una sorta di maratona natatoria.

Ore 10,00 in piscina con la Bubi.

Ore 16,00 in piscina con il Bubino.

Voi direte: sembra una cosa fattibilissima.

Lo stesso ho pensato io al momento dell’iscrizione.

In realtà il sabato si è trasformato per me in un’impresa organizzativa degna delle migliori multitasking moms. Cosa per la quale non sono evidentemente portata, visto che arrivavo a sera in stato comatoso, incapace di reggere oltre le 21,15. Con il povero Papais che magari avrebbe approfittato del sabato sera per uscire o fare due chiacchiere. E con tutte quelle incombenze che di solito riempiono la giornata festiva – leggi spesa, stiro, lavatrici – che finivano per accumularsi minacciose per i giorni a venire.

All’inizio tutto questo impegno sembrava assolutamente sproporzionato rispetto ai risultati.

Appena apriva gli occhi al mattino, la Bubi partiva con la tiritera del “nonvollioandareinpissina” e ce la metteva tutta per allungare i tempi e arrivare in ritardo. Il pomeriggio, per essere in piscina alle 16, dovevo svegliare il Bubino anche quando non aveva dormito abbastanza. Cosa che lo rendeva piuttosto incazzoso/piagnucoloso/capriccioso sia in acqua che fuori. Fino a sera. Anziché ringraziare la loro super-mamma per la meravigliosa esperienza che gli stava regalando, i Bubini sembravano non apprezzarla affatto. Anzi.

Io, lo ammetto, ho pensato più volte: “ma chi me l’ha fatto fare, fanculo, mollo tutto”.

Eppure – e qui, cari lettori, mi merito un pat-pat sulla spalla – eppure ho tenuto duro.

Ho affinato le mie doti di negoziazione e persuasione con la Bubi. Le ho riempito la testa di racconti di quando ero piccola e avevo paura dell’acqua come lei. Le ho fatto notare quanto stava migliorando dalle prime volte. Che sapeva mettere il mento, la bocca e infine tutta la testa sotto. Il tutto condito da una maestra di nuoto decisamente fuori dal comune. Materna e decisa al tempo stesso. E da compagne di corso particolarmente simpatiche con cui la Bubi ha legato da subito.

Con il Bubino ho cercato di regolare a cronometro i tempi del pisolino. In modo da farlo arrivare in acqua ben riposato. Ha iniziato a divertirsi sul serio. A buttarsi dallo scivolo anche 5 volte di fila. A finire a testa sotto senza fiatare. A ridere anche se beveva.

E’ stata una grande lezione di vita. Per loro e per me.

Magari non diventeranno dei provetti nuotatori. Però questa esperienza gli sta insegnando che per ottenere risultati ci vuole pazienza. Che non bisogna mollare alla prima difficoltà. Che si può giudicare qualcosa solo quando la si è vissuta fino in fondo.

Credetemi, non è cosa da poco.